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Sulla morte e sui novissimi
Prefazione
Si consideri che polvere s’era e che polvere si ritornerà, il giorno in cui si morirà arriverà per poi marcire in una tomba. Lo stesso fato attende tutti: l'alto ed il basso, il principe ed il plebeo, il ricco ed il povero. Appena l'anima avrà lasciato quella salma assieme all'ultimo respiro, essa farà entrata nella non più arcana eternità ed il suo corpo tornerà alla polvere. Si immagini un uomo recentemente deceduto. Si visioni il corpo giacente su quel letto, la testa china sul petto, il capello sregolato e sommerso dal sudore freddo della morte, gli occhi chiusi, le guance scarne, la lingua e le labbra color di piombo, quel cadavere sempre più gelido e pesante, la veglia pallida e tremante. Quanti all'indelebile visione di un genitore, di un parente, di un amico o conoscenza deceduta, han per sempre cambiato la presente vita e lasciato il mondo.
Ma ancor più atroce è quando il corpo incomincia a decomporsi. Ventiquattro ore non sono già trascorse che quel nauseabondo tanfo percepito è pervaso inesorabilmente nella stanza. Finestre devono essere aperte, l’incenso bruciato, e vi è gran fretta per recare il corpo ad una qualche chiesa sotterrandolo dopodiché, cosicché tutta la casa non venga più infettata. E se quel corpo appartenne ad uno di quei cosiddetti grandi della terra, allora potrà solamente che emanare un ancor più intollerabilmente disgustoso odore. Si rammenti ciò che è accaduto a quel già fiero uomo, il desiderato, il favorito, l'acclamato, il preferito della società, ma or nient'altro che l'orrore e l'abominio di coloro che lo osservano. I suoi parenti si affrettano a portarlo via da casa e vengono assoldate delle persone per portarlo via e, chiuso in una bara, gettarlo in una tomba. Fu conosciuto per le sue buone maniere, alcuni affermano, per i suoi talenti, altri dichiarano, per i suoi gesti graziosi, tutti concordano. Ma ora è già obliato, ancor che appena deceduto. A notizia della sua morte alcuni ricordano il suo onore, altri il suo benessere economico, altri ancora patiscono quella futura mancanza di servizi che loro recherà, ed ulteriori invece esultano per qualche vantaggio sì loro apportato. Ciononostante, d’ivi a breve non sarà più nominato. Dopo la funzione funebre e le condoglianze, l'argomento sarà altro. E semmai la memoria di costui venga in futuro fortuitamente richiamata, alcuni al dunque esclameranno: "No, pietà, misericordia, mai più lo si rinomini". Si consideri che ciò il quale fu fatto alla morte di parenti e conoscenze, altrettanto verrà a voi operato allorché sia raggiunta la propria di ora. In principio, afflitti saranno dal proprio decesso, dalla propria morte. Non per molto, tuttavia, poiché consolati da quella sebbene vuota, materiale eredità che loro lasciata sarà stata, ed in quella stanza medesima in cui si sarà visto il mondo per l'ultima volta nella vita, s'avrà spirato, sicché dal Signore nostro Gesù Cristo colà giudicati, sì si sarà stati, sì in quella vera e propria stanza, si riderà, si scherzerà, si giocherà e si godrà esattamente come prima. Ma la propria anima dove sarà a quel punto?
E perché si possa ben comprendere che cosa veramente s’è, o anima cristiana, ci si rechi ad un obitorio, ad un sepolcro, presso una tomba, ad un campo santo, un cimitero, si contempli la polvere, la cenere ed i vermi e sì si sospiri. Si impari come quel cadavere interrato giallo prima, nero poi ed infine bianco, venga ricoperto da quella disgustosa muffa e poi da melma e muco. Poi ne esce una melma che scorre verso la terra.
In quella corruzione si genera una moltitudine di vermi che si nutrono della carne. I topi si nutrono del corpo, alcuni all'esterno, altri entrano nella bocca e nelle viscere. Le guance, le labbra, i capelli cadono a pezzi. Prima vengono scoperte le costole, poi le braccia e le gambe. I vermi, allorché tutto consumato, l'un l'altro essi si divoreranno per poi lasciare null'altro che un desolato scheletro, che a sua volta prossimo allo sregolamento ed alla sparizione sol sarà. Le ossa si separano e la testa cade dal tronco. Ecco cos'è un uomo: un poco di polvere che in un’aia è portata via dal vento. Pertanto, nella morte, si personifichi se stessi, e si veda ciò che si diventerà, si rammenti che terra s’era e che terra si ritornerà. Si ricordi che tra qualche anno, fra qualche tempo, si diverrà marciume e vermi. Tutto giungerà a una fine, e, se quando si morirà, la propria anima sarà perduta, tutto si avrà perduto. San Bernardo affermò: "Osservate i peccati dei fanciulli e vergognatevi, osservate quelli degli adulti e rammaricatevi, osservate la vostra empia vita e tremate, ed emendatevi".
Si rivolga il pensiero alle tombe dei passati e si pensi: se questi potessero vivere ancora, cosa farebbero costoro per aver la vita eterna? E io che ho tempo, cosa faccio per la mia anima? Cosa faccio io? Nel mondo sono reputati felici solo i gaudiosi che godono i beni, i piaceri, le ricchezze e le pompe del mondo stesso, ma la morte arresta tutte queste gioe terrene. Cos'è la vita se non un vapore che appare per un breve istante? Scrisse infatti San Giacomo Apostolo.
Si rimembri quell'uomo riverito, ammirato e quasi venerato. Quando sarà morto, egli odiato, schernito, ridicolizzato ed obliato sol sarà. Quando la morte arriva, dobbiamo lasciare tutto. Quando il corpo viene deposto nella tomba, la carne cade e, guarda caso, il suo scheletro non si distingue più dagli altri scheletri. Recatevi ai sepolcri, annunciò San Basilio, e discernete lì chi fu maestro e chi fu schiavo. In questa terra tutti gli uomini nascono diversi e sono diversi, ma con la morte tutti diventano uguali. Ciò che accade ai propri avi, accadrà anche te. Abitarono la propria dimora, dormirono nel proprio letto, ma ora non ci sono più, e lo stesso accadrà a te. Tutti sanno che devono morire, ma molti si ingannano dipingendosi la morte come se fosse a una distanza tale che mai possa diventar loro prossima. Agli uomini è imposto di morire una volta: Ebrei, nove ventisette. La sentenza di morte è scritta contro ciascun uomo. "La morte è l'unica certezza" disse Sant'Agostino “tutti gli altri beni o mali sono incerti”. È incerto se un infante sarà ricco o povero, sano o malato, di morte giovane od anziano. Anche se vivessi tutti i giorni su cui puoi contare, verrà un giorno (e di quel giorno un'ora) che sarà l'ultimo per te. Chi fu l'illuso che disconobbe mai la morte? Nessuno, mai nessuno osò tanto, deludendosi che mai sarebbe morto. Tutto ciò che accadde ai propri avi, sì, accadrà ai presenti. Di tutti coloro che abitavano la propria nazione all'inizio dello scorso secolo, guarda, nessuno è vivo. Anche i principi, i re, gli imperatori ed i grandi della terra hanno cambiato dimora. Quello che rimane è null’altro che un mausoleo di marmo con una imponente iscrizione che ora serve soltanto a insegnarci che tutto ciò che è rimasto dei grandi di questo mondo è un piccolo mucchietto di polvere racchiuso in una tomba. È fissato. È dunque certo che alla morte si è tutti condannati, e che ogni passo che si faccia alla morte si avvicina. Come il proprio nome fu registrato nei libri del battesimo, prima o poi anche in quelli della morte esso terminerà. Come s’oggi parla dei propri avi, la santa memoria di mio padre, di mia madre, di mio fratello, di mia sorella, di mio zio, così anche altri diranno un giorno di te. Come si udì la campana ridondar per loro, anche altri la udiran per te. Guarda dunque i cadaveri, ognuno dei quali ti dice: ieri per me, oggi per te. Lo stesso lo comunicano giornalmente le foto dei propri passati cari, i loro beni, i loro vestiti, che si sono lasciati alle spalle. In ogni epoca le stesse case si riempiono di nuove persone, ed i loro corpi son con consuetudine sempre recati prima o poi alla tomba. Ed è prossimo ormai il tempo in cui né io, né tu, né nessun altro esisterà più su questa terra, ed allora si sarà tutti nell'eternità, la quale sarà o eterna giornata di gioia o eterna notte di tormenti. Non v'è via di mezzo. È certo e di fede che una o l’altra strada sarà quella che si infine imboccherà. In verità, con la morte onnipresente nei loro pensieri, i santi han detestato ogni piacere di questa terrena vita. San Carlo Borromeo teneva costantemente un teschio sul suo comodino, nell'intenzione di contemplarlo di continuo. Tutti i piaceri di questo mondo cessano in un sospiro morente, con un funerale, e una discesa nella tomba. Ciò che si sarà costruito passerà ad altri. La tomba sarà l’abitazione per il tuo corpo fino al giorno del giudizio, e da lì passerà all’Inferno o al paradiso dove l’anima già l’avrà preceduto.
Sull'incertezza del momento della morte
È certo che moriremo tutti, ma il quando è incerto. Niente è più certo della morte, ma nulla è più incerto dell'ora della morte. Già è fissato l'anno, il mese, il giorno, l'ora, il momento, l'istante fissati per tutti sin dall'inizio dei tempi, nei quali sia io che tu lasceremo questo mondo per entrare nell'eternità. Ma quel momento ci è sconosciuto. Ci si immagini accanto ad una persona con qualche misera ora rimasta davanti a sé, si rifletta sul come egli è oppresso da dolore, paura, fobia, tristezza, depressione, soffocazione, afflizione, freddo sudore e mal di testa a tal punto che egli è persino inibito dal muoversi, dal comprendere e dal parlare. Tra le sue cospicue miserie v'è quella che la morte è ormai imminente ed invece di pensare alla sua anima preparandosi per l'eternità, egli si preoccupa solamente dei medici che lo liberino dai dolori che lo stanno gradualmente distruggendo. Se almeno i suoi parenti avessero il coraggio di rivelargli il suo reale fato, ma invece no, non ve n'è uno con abbastanza coraggio da annunciargli la vicina fine e da consigliargli di ricevere i suoi ultimi sacramenti. Tutti si rifiutano per timore di impaurirlo. Ma frattanto, nonostante nessun avviso della sua prossima morte sia dato lui, il morente uomo, osservando l'intera famiglia in subbuglio, le frequenti consultazioni mediche e gli innumerevoli e violenti rimedi adottati, si riempie di confusione e terrore ed emette continui attacchi di panico, rimorso e diffidenza, per poi dire a se stesso: "Ah, chissà, la mia morte è ormai arrivata".
Quali saranno allora i suoi reali sentimenti al momento della comunicazione della sua attuale morte? Signore, la sua malattia è mortale. Deve ricevere i sacramenti. Faccia pace con Dio e saluti il mondo. Oh, sprovveduto che son stato, la povera anima a quel punto esclamerà: "Sarei potuto essere un santo con tutte le luci ed opportunità che Dio mi ha dato. Avrei potuto condurre una vita di gioia nella grazia di Dio. Ma ora che ne rimane di me e dei tanti anni che ho vissuto se non rimorso e colpa da rendere all'onnipotente Cristo Dio? E difficilmente credo di poter sperare di veder la mia anima salvata. E quando le farà tali considerazioni? Allorché l'olio della lampada sarà pressoché esaurito, allorché gli scenari di questa terra saranno ormai al termine, allorché sarà davanti a quel bivio irrevocabile delle due eternità, felice e infelice. Quando insomma è vicino a quell'ultimo respiro da cui dipende il suo essere nella beatitudine o nella disperazione per sempre, per quanto Dio sarà Dio.
Che terrore sarà dunque per lui risvegliarsi al mattino e pensare: "Questa mattina sono vivo, ma questa sera sarò probabilmente morto. Oggi sono in questa stanza, ma forse domani nella tomba, e l'anima mia dove sarà essa?" Che terrore quando vedrà accendersi la candela, il sudore freddo della morte, i suoi parenti ordinati di uscire dalla stanza da non rivedere più. La sua vista sbiadirsi, la stanza annebbiarsi e la visione oscurarsi. Che terrore! Poiché la morte è già vicina.
La consolazione della morte
La morte contemplata attraverso i sensi terrifica e genera paura. Veduta invece dalla prospettiva della fede universale, essa è sol che desiderabile. Asserì Sant'Agostino: "Cosa è la continuazione della vita se non la continuazione delle sofferenze?" La vita non è per riposare, ma per travagliare verso la salvezza, verso la vita eterna. I tormenti affliggenti i peccatori all'ora della morte assillano giammai i santi. Questi ultimi, avendo separato i loro cuori dai beni peculiari a questo mondo durante le loro vite, non sono addolorati al pensiero del distacco da questi. La vita altro non è che una guerra continua contro l'Inferno, nella quale si è costantemente esposti al pericolo di perdere per sempre il Signore nostro Gesù Cristo. Tal pericolo fu la causa per cui San Pietro d'Alcántara sul letto di morte disse ad un religioso che lo assisteva: "Fratello mio, giacché ancora vivo e quindi in pericolo io son di dannazione, distanziati da me". Santa Teresa riconobbe similmente tutto ciò. Ciascuna volta che l'orologio ella udiva rintoccare, gioiva gaia per un'altra ora di vita già trascorsa. Dichiarava infatti "In ogni momento di vita, di perder Dio attraverso il peccato, io temo". E che consolazione allorché si rimembreranno gli onori resi alla Signora nostra, la Madonna Maria Madre di Dio Celeste, a quel punto. I santi rosari, lei recitati, i digiuni lei sacrificati il sabato e così via. Maria è detta Vergine fedelissima. Oh, quanto grande è la sua fedeltà nel consolare i fedeli suoi servitori nell'ora della loro morte. Disse allorché morente, un devotissimo alla Vergine Maria: "La consolazione trovabile sul punto di morte ricordando d'aver sempre servito nostra Santa Signora, è per voi inconcepibile. Se poteste solamente immaginare ciò che ho appena provato, sapendo d'aver servito questa nostra carissima madre, ahimè, non so io come descriverlo". Professava San Bonaventura: "Colui negligente il servizio di Nostra Signora perirà nei suoi peccati. Colui ripudiante l'invocazione di te, o Santa Vergine, finirà giammai in paradiso. Non solamente per coloro che a Maria rendono nessuna grazia, non vi sarà salvezza, ma v'è già per loro nessuna speranza”. Nessuno può essere salvato, assente la protezione della Santissima Vergine Maria nostra Signora. In ugual maniera esprimeva Sant'Alfonso: "Perseverando con autenticamente mariana devozione sino alla morte, la salvezza è garantita". Analogamente, San Luigi di Montfort rivelava: "Dei veri figli di Maria Vergine, nessuno mai andò perso".
Sul giudizio particolare
Si consideri nel primo luogo, spirante l'uomo, la sequenza dell'apparizione dell'anima dinanzi al giudice, l'accusa, l'esame, la sentenza. Primariamente, si contempli sull'apparizione stessa dell’anima davanti al Giudice. È opinione comune tra i teologi che il Giudizio particolare abbia luogo nel momento stesso in cui un uomo muore, e che nel luogo stesso in cui l'anima viene separata dal corpo sia giudicata da Gesù Cristo. Quanto sudan freddo i criminali ove dinanzi ad un mero giudice terreno in attesa di sentenza. Che dolore è quello di un fanciullo o di un suddito allorché soggetto a un genitore o a un principe gravemente offeso? Ma quanto mai più atroce potrà esser dunque la sensazione di quell'anima dinanzi al Signore nostro Gesù Cristo, disdegnato per tutta la sua vita? Sicché dopo la morte, immediatamente l'inevitabile giudizio: Cielo, Purgatorio od Inferno. San Paolo infatti proclamò in Filippesi, 2:12 che la necessità di ricercare la salvezza deve avvenire con terrore e trema cuore. Maria, santa nostra, comunicò invece che la divina misericordia sarebbe rimasta di generazione in generazione presso coloro i quali il Signore Cristo Gesù nostro avrebbero temuto.
Sui pochi che si salvano
Diversi padri della Chiesa asserirono che ai tempi del diluvio universale non più di otto persone furono risparmiate. Parimenti, alla distruzione di Sodoma e Gomorra, quattro sopravvissero. E dei seicentomila ebrei fuggiti dall'Egitto, due soli nella promessa terra giunsero. Nel deserto trovarono la morte gli altri. Tali prototipi dichiarano pertanto che in ultimo, proporzionalmente, piccolo sarà il numero degli eletti fra i cristiani. Ecco dunque alcuni insegnamenti dei santi, dei teologi e dei dottori della Chiesa concernenti il final destino delle genti. È certezza che pochi sono gli eletti, Sant'Agostino. La maggior parte degli uomini non vedrà Dio, San Giustino Martire. Coloro che si salveranno saranno in minoranza, San Tommaso Aquino. S'osserva la più parte degli uomini condursi verso la dannazione eterna piuttosto che verso l'amore di Dio, Sant'Alfonso de Liguri. Fra gli adulti pochi sono gli eletti a causa dei peccati della carne. Ad eccezione dei defunti nell'età fanciulla, la maggior parte della gente sarà dannata, San Remo di Durocortorum. Su centomila peccatori, perseveranti nel peccato sino alla morte, appena uno se ne salva, San Girolamo.
La maggior parte dei cattolici finirà all'Inferno. La ben felice Anna Maria Taigi disse: “la più parte degli apparenti cristiani odierni è dannata. Il destino dei morenti durante una giornata è che nemmeno dieci vedono direttamente il paradiso. Diversi terminano in Purgatorio ed innumerevoli, pressati come fiocchi di neve in inverno sulla Terra, giungono all'Inferno". Per qual motivo così tanti cattolici vanno all'Inferno? Secondo Santa Teresa d'Avila, le cattive confessioni dannano la maggior parte dei cristiani. La maggioranza anche dei preti finisce all'Inferno. San Giovanni Crisostomo asserì infatti: "Non parlo da sfrontato, bensì do voce ai miei sentimenti, alla convinzione ed alla persuasione che mi ritrovo. Non penso che i sacerdoti si salvino in gran numero e credo inoltre che vi siano molti più dannati che eletti". San Vincenzo de Paoli affermò parimenti: "Davanti al pensiero della miriade di persone viventi in un costante stato di dannazione, io tremo".
Bambini e gente giovane va all’Inferno. San Gregorio Magno relazionò che un bimbo di soli cinque anni, ormai cosciente, sicché dotato di ragione e facoltà d'azione, fu ucciso dal demonio per una bestemmia, per poi essere trascinato giù all'Inferno. Un altro bambino di anni otto morì immediatamente a seguito del suo primo peccato, rimanendo perduto, d'ivi per sempre. La Santissima Vergine Maria rivelò al servitore del Signore nostro Gesù Cristo Benedetto di Firenze, che una fanciulla di anni dodici fu dannata per il suo primo peccato.
La più grafica descrizione dell'Inferno fu esposta dalla Signora Nostra la Madonna di Fatima a tre giovanissimi pastorelli nel 1917 in Portogallo. Ecco cosa videro i tre infanti: "Nostra Signora aprì di nuovo le mani e la riflessione parve penetrare la terra e vedemmo un grande mare di fuoco. Immersi in quel fuoco, vedemmo i demoni e le anime in forma umana, quest'ultime come se fossero braci trasparenti e nere o bronzee, fluttuanti nell'incendio, sorrette dalle fiamme le quali uscivano da loro stesse. Il tutto assieme a nuvole di fumo, cadendo da tutte le parti, simili al cadere delle scintille nei grandi incendi, senza peso né equilibrio, tra grida e gemiti di dolore e disperazione che mettevano orrore e facevano tremare dalla paura. I demoni invece si riconoscevano dalle forme orribili e ributtanti di animali spaventosi e sconosciuti, trasparenti e neri come carboni ardenti". Inorriditi gli infanti, colà tormentati, si al che rivolsero verso la Santissima Vergine Maria, la quale, per quanto gentilmente, disse loro tristemente: "Avete visto l'Inferno dove cadono le anime dei poveri peccatori. Per salvarle, Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato". La Madonna di Fatima inoltre confidò “la maggior parte delle anime va all’Inferno per i peccati della carne più che per qualsiasi altro peccato”. Nello stesso modo, ella dichiarò: “la più parte dei matrimoni sono degli abomini dinanzi al cospetto del Signore nostro Gesù Cristo, non piacendogli poiché non suoi”. Suor Lucia di Fatima affermò: "Si tenga conto della condotta dell'umanità, sol che una parte d’essa si infine salverà". Lucia dos Santos, riportando una conversazione con Giacinta Marto: "Chiesi a Giacinta: A che cosa stai pensando? Giacinta mi rispose: Alle guerre che verranno e a tutta la gente chi ivi morente sarà destinata all'Inferno".
Il Signore nostro Gesù Cristo, d'altronde, informò tutti rispetto all'esiguo numero degli eletti. "Signore, sono eglino pochi coloro che son salvati?" Ed Egli disse loro: "Sforzatevi di entrar per la porta stretta, perciocché io vi dico che molti cercheranno ad entrare e non vi riusciranno". Luca 13, 23-24. “Entrate per la porta stretta, perciocché larga è la porta e spaziosa la via che mena alla perdizione. E molti son coloro che entrano per essa. Quanto è stretta la porta ed angusta la via che mena alla vita. E pochi son coloro che la trovano” (Matteo 7, 13-14). E se il giusto è appena salvato, dove comparirà l'empio ed il peccatore? (1 Pietro 4, 18).
Non è tanto il fatto che Dio non ami l'uomo, bensì quanto l'uomo non ami Dio che conduce all'Inferno. Non è tanto il fatto di che cosa abbia fatto l'uomo, bensì che cosa non sia riuscito a fare che conduce all'Inferno. Non è tanto il fatto di essere stati malvagi, bensì di non essere stati buoni abbastanza che conduce all'Inferno.
Sul giudizio universale
Si descriverà prima la risurrezione dei giusti e a seguito quella dei dannati. Risvegliate dal suono delle trombe angeliche, tutte le anime dei giusti accompagnate dai loro santi angeli custodi, dal cielo faran discesa per poi essere recate sul luogo nel quale il loro corpo fu una volta sotterrato od inumato. Le tombe saranno al che aperte e i corpi giacenti dentro esse, ancorché privi di vita, incorrotti saranno ritrovati. Il corpo d'ogni uomo colà giacerà, come se dormisse, ma poi per il potere del Signore nostro Gesù Cristo, alla sua anima ricongiunto esso verrà, acquisendo nuovamente vita in quell'esatto istante. Che sensazione proverà allora tale corpo allorché ancora una volta in vita, tipificato da così belle forme. Anima e corpo si accoglieranno con amore immensurabile, si abbracceranno affettuosamente con emozioni della sincerità più significativa. Dirà al corpo quindi l'anima: "Quanto già io ho atteso, quanto già io ho desiderato questo giorno. Ti ora condurrò presso le celesti regioni benedette, affinché si possa ivi celebrare per l'eternità". Orbene con inesprimibile soddisfazione, corpo ed anima si ricongiungeranno e con loro anche i santi angeli custodi feliciteranno, esultanti di benedizione e di gloriosa, sì, risurrezione. Dunque in tutti i campi santi, cimiteri e luoghi in cui quantità di gente interrata allora sarà stata, per primi i beati ed i benedetti risusciteranno, con corpi in gloria e di splendore.
Proclamò il Signore Gesù Cristo nostro: "Perché l'ora arriverà in cui tutti i giacenti nei sepolcri udiranno la voce del Figlio di Dio, per poi uscire. Coloro che han fatto il bene per risorgere alla vita, ma coloro che han fatto il male per risuscitare sì al giudizio". Ebbene dunque, se in ogni cimitero tutti i sepolti risusciteranno, fra cui un numero di buoni e giusti, si immagini il reciproco piacere lì provato di vedersi nuovamente gli uni gli altri, radianti nei propri corpi, di gloria si splendenti. La risurrezione dei malvagi seguirà quella dei giusti immediatamente tuttavia, ma oh quanto diversa sarà essa. Ovunque vi sarà stata l'inumazione, ciascuna anima perduta, per quanto contrariata, al suo terreno corpo dovrà far ritorno. Vi sarà allora null'altro che disgusto e pura reticenza. Allorché dinnanzi ai loro corpi quelle anime saranno ricondotte, repulsione grande al punto d'odio solamente vi sarà. Quando l'anima vede il suo corpo, si ritrarrà da esso con la massima repulsione, tanto sarà orribile. Esse preferiranno il ritorno immediato a quel tremendo Inferno, piuttosto che di unirsi a quel già corpo e sì di disgustoso scempio. Ciò in sol virtù del fatto che i corpi dei riprovati rassomiglieranno a demoni più che a uomini. Ripulsivi, nauseabondi, abominevoli, sì offensivi essi saranno. Ma quantunque al corpo ciascuna anima tenterà ad opporsi, per quanto repellente, vi si dovrà sottomettere perché Dio la obbliga a ciò. Esclamerà infatti essa: tu maledetto corpo, ho già per centinaia di anni dovuto sopportare gli infernali tormenti dell'eterno fuoco, ma adesso debbo fare di ritorno persino assieme a te. A te la colpa per tutte le nostre sventure. Invano furono i miei buoni consigli, poiché giammai li ascoltasti. Perduti per sempre siamo dunque ora. Male ne abbia io, malcapitata anima che altro non sono. Male ne abbia io, ahimè per sempre. Ebbene i loro corpi saranno così orribilmente brutti, ripudianti sì all'apparenza, al punto tale di desiderare più nemmeno d’osservarsi l'uno l'altro. Si è forse mai capaci di descrivere precisamente il dolo ivi prevalente su tali creature sofferenti? Si rifletta assai chiunque oda ora il tutto, sull'insensata disperazione che verrebbe ad affliggere qualora si finisse tra quelle anime perdute. “O no, che cosa ho fatto? Cosa ho commesso? Male ne abbia io, miserabile e null'altro. Maledetta sia mia moglie che mi provocò al peccato. Maledetti siano i miei figli, essi la causa delle mie dannazioni. Maledetti i miei compari, i miei amici, le mie conoscenze, le maggiori occasioni delle mie calamità. Maledetti siano i partecipanti alla mia vita ed ai miei peccati, i quali a questo orribile fato mi hanno condannato.” Pertanto, ogniqualvolta si passi presso un cimitero di quartiere, si obblii giammai che colà si resterà sino alla resurrezione generale. Cristallina dunque è la ragione per cui occorre ben sfruttare la vita ormai rimasta, di modo da sforzarsi per poi riuscire a far parte di quei giusti degni di partecipazione alle benedizioni eterne, assente quindi la condanna infinita dei dannati. Verrà in seguito così la sentenza ultima del Giudizio Finale. Per primo giungerà sicchè l'accusatore, il Diavolo. Asserì Sant'Agostino: “il demonio si presenterà dinanzi al tribunale del Signore nostro Gesù Cristo, per poi accusarci di qualunque nostra mala azione perpetrata nel corso della vita in terra, indicando con disumana precisione il giorno, l'ora ed il momento nel quale il peccato in questione fu commesso. Egli reciterà le parole della tua professione”, cioé ci ricorderà le nostre promesse che abbiamo fallito. E ci accuserà di tutte le nostre colpe, precisando il giorno e l’ora in cui le abbiamo commesse. Dirà poi al tremendo giudice Cristo Gesù Signore nostro: Signore, ti hanno abbandonato, proprio tu che hai dato la tua stessa vita per salvarli, si sono fatti sì miei schiavi, ora dunque mi appartengono.
Ma si passi oltre. Ora arriva la sentenza. Gesù Cristo si volterà per prima verso gli eletti, rivolgendo loro queste parole consolanti: Venite, o beati e benedetti del mio Padre, ereditate finalmente quel regno preparatovi dalla Fondazione del mondo. Quando fu a San Francesco d'Assisi comunicato che parte degli eletti egli era diventato, fu pervaso dalla più sensazionale gioia. Che gaudio sarà dunque udire Cristo Gesù Signore nostro dire: Venite, o beati e benedetti del mio Padre, possedete ora quel regno per voi preparato, perché per voi vi sarà mai più dolore, vi sarà mai più paura. Sicuri e salvi, ora siete e sempre rimarrete.
Dall'altra parte i condannati, i quali al Signore nostro Gesù Cristo chiederanno: E noi miserabili, o Signore? Che ne sarà di noi? L'eterno giudice Cristo Gesù nostro Signore al che rivelerà: voi, giacché le mie grazie avete voluto rigettare, allontanatevi da me nell'eterno fuoco, o maledetti ingrati, ritiratevi dalla mia presenza, poiché giammai vorrò più vedervi. Andatevene con la mia maledizione, poiché le mie benedizioni avete rifiutato. E dove andremo così miserabili, o Signore? Nel fuoco eterno, all'Inferno, così ch’ivi bruci corpo ed anima. Per quanti anni? Per quante generazioni? O no, per l'eternità, per sempre, per quanto Dio sarà Dio. A seguito di tal sentenza, raccontò Sant'Efraìm che tutti i dannati diranno veramente addio agli angeli, ai santi, ai loro prossimi ed alla Santissima Vergine Maria la Madonna, nostra Signora: Addio ai giusti, addio ai celesti cieli, addio ai parenti, i genitori, i fratelli, le sorelle, i figli e figlie. Addio Maria, Madre di Dio. Sicché nel mezzo della terra una voragine immensa si aprirà, zeppa di demoni diabolici, nella quale tutti i dannati precipiteranno assieme. Quei cancelli si chiuderanno dietro di loro per aprirsi già mai più, mai più, mai più, per tutta l'eternità. Maledetto sia il peccato che miserabile fine attende così tante povere anime. Ahinoi, se ben mal capitate, ad un'eterna fine destinate.
Sulle pene infernali
È di fede che l'Inferno esiste. Nel centro esatto della Terra si trova tal prigione destinata ad essere punitiva per tutti i peccatori rivoltatisi contro il Signore nostro Gesù Cristo. Che cos'è l'Inferno? È un luogo di tormenti, un luogo di tormenti nel quale tutti i sensi e tutte le energie dei riprovati subiscono ciascun i lor particolari supplizi. E più una persona avrà offeso Dio con un senso, più questo senso sarà tormentato. Qual compassione proveremmo al sentire che un poveruomo venga detenuto in una cella oscura per tutta intera la sua vita, o per 40 o 50 anni? Orbene, l'Inferno è una cella chiusa da ogni lato dove non entra alcun raggio di sole o alcuna luce mai.
Anche l'olfatto deterrà le sue piaghe. Si legge nella vita del Martino Santo che alla breve comparsa del maligno, il tanfo di cui la stanza fu riempita fu talmente abominevole per cui egli poi trascrisse: "Se basta solamente un demone ad emanare tale odore, quale disgustoso tanfo mai proveranno i peccatori destinati a marcire nell'Inferno eterno nel quale innumerevoli demoni ivi giacciono?" All'Inferno si è per di più ammassati gli uni sugli altri, ammassati come pecore nella stagione invernale, anzi accatastati come acini d'uva in attesa di una pressante vinificazione per la collera dell'onnipotente Dio. Da ciò scaturisce anche la pena dell’immobilità. “Diventino immobili come pietra” (Esodo 15:16). Quindi, nella medesima posizione in cui all'Inferno si sarà precipitati nel giorno del Giudizio universale, ebbene in essa si dovrà restare d’ivi a sempre, giammai cambiando posto, giammai spostando piede o mano, giammai, per quanto Dio sarà Dio. L'udito stesso non colà risparmiato poi sarà, addolorato dalle continue lamentazioni ed urla di tutti i disperati miserabili. I terribili diavoli mai cesseranno il terribile baccano. Che pena è per uno che vuole dormire udire il continuo ansimare di un malato, un cane abbagliante o il piangere di un neonato. Infelici anime allora quelle che patir dovranno le perpetue grida infernali di questi disgraziati torturati…per l’eternità.
Si rimembri inoltre che ciascun uomo è sovente peccatore di intemperanza, indugiando avidamente nel bere e nel mangiare. È solo giusto quindi che il Signore nostro Gesù Cristo possa infine ricompensar sì veramente i contumaci peccatori di tale natura irriverente. Egli infatti disse: "Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame" (Luca 6:25). In verità è pressoché impossibile realmente immaginare le pene della fame, poiché per quanto lunghe, giammai dall'uomo come infinite furono provate. Se l’uomo non ha da mangiare per un intero giorno, il tempo sembra molto lungo e si vuole cibo estremamente. E se non pervenga il cibo per due o tre giorni, che misera condizione sarebbe per l’uomo. Ma di più, ove addirittura digiunasse l'uomo per una settimana e fosse ivi abbandonato alla sua logorante fame, cosa ne diverrebbe di tal anima?
Oltre alla fame, si rammenti anche quell'arsura di una bruciante sete, invero al di là di qualunque descrizione. Chiunque è cosciente delle pene generate dalla sete, esse son semplicemente insopportabili. I veri assetati, persino nelle pozzanghere più impure finirebbero per bere. E se mai nessun rinfresco per loro si trovasse, li attenderebbe niente altro che una morte dalla pena più straziante. Orbene, la sete sofferta dalle anime dannate nell'Inferno è infinitamente più terribile, più intensa, più dolorosa, assente il più remoto paragone con quella sperimentabile sul mondo. La provasse mai un uomo anche per un attimo sull'immediato colpo, egli morirebbe. Non v'è la tregua, per all'Inferno i condannati: condotti assente cessazioni da pene a pene, essi sempre e sì saranno, e ciò genera sete!
Ma è il caldo straziante generato dal fuoco dell'Inferno, ove la fiamma brucia giorno e notte, era per era, nel tempo a non finire, la fondamentale causa della sete intollerabile che i dannati già consuma. Essi, immersi nelle fiamme, giammai beneficiari d'acqua rinfrescante: quanto grande la loro sete! Si ascolti il disperato appello di un'anima perduta per un mero goccio d'acqua. Ed egli gridando disse: "Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro, acciocché intinga la punta del dito nell'acqua e mi rinfreschi la lingua, perciocché io son tormentato da questa fiamma" (Luca 16:24). Ahimè, tutta tale implorazione sarà sol che vana, poiché al che, Dio sarà sordo a fronte di dette domande. Non viene data nemmeno una goccia d'acqua per mitigare le loro sofferenze.
Per placare la pena intollerabile della fame, la gente vorrebbe divorare non importa cosa, dall'erba alle foglie, dalle bestie più sporche alle interiora più sconce. Persino la carne l'uno dell'altro vorrebbe esser staccata. Madri sacrificanti i loro figliuoli, e è risaputo di uomini che si sono nutriti della propria carne. Tutto ciò sino allo strenuo di tutte le forze, perdendo infine, per la tortura subita, anche sì i sensi. Per poi però risvegliarsi non meno dopo un istante ed urlare, gridare, strillare, soffrire e nel mezzo della più miserabile morte di tutte le morti, infine morire. Se questa è la fame qui in terra, cosa ha da riservare dunque la fame all'Inferno? Se il bisogno di cibo per una manciata di giorni soltanto causa una tale tortura, cosa dire di una striscia di tempo infinita? Chi può pensare senza orrore alla fame sofferta all’Inferno?
Altri tormenti infernali. Il venerabile Beda riguardo ad un uomo malato che una notte si pensò essere morto. Il mattino seguente, a conoscenza ripresa, sorpresi ed attoniti furono i suoi vegliatori. Rialzato dal letto nel quale spirò, il malato con Dio di un discorso narrò. Il Signore nostro Cristo Gesù accordò lui un'estensione dei suoi giorni, di modo che condotta di vita avesse mutato. D’ivi a breve, dopo aver tramandato di fatto i suoi beni agli eredi figliuoli, e donato ai poveri degli altri suoi averi, in tutt'altra persona egli mutò. Presso i gelidi fiumi in tenda sostava, piangendo. D'inverno si immergeva fino alla gola nelle acque ghiacciate del fiume, e poi, tremante e intorpidito dal freddo, si immergeva nell'acqua bollente, che gli causava un tale strazio che non riusciva a trattenere le grida. Al che gli si chiese il perché di tale strana condotta e come potesse sopportare l’immediata alterazione del caldo e del freddo estremi. “Poiché molto di peggio mi fu dato a vedere”, rispose. “Che cosa? Che cosa?” Gli si riprese. “Ho veduto il modo per cui le malcapitate anime spedite all'altro mondo, dal fuoco rabbioso all'acqua ghiacciata, son trascinate, e poi di nuovo nel ghiaccio ed ancor nelle fiamme, realizzando io così quel che s'ha da soffrire lì, le mie sofferenze indi son niente, proprio che niente”. Orbene, detta storia, relazionata da un uomo del calibro del venerabile Beda, mostra efficacemente quanto terribili sono I tormenti infernali.
Sui fumi infernali. In tale orribile oscurità, i dannati giaceranno senza aiuto come come ciechi o come coloro i cui occhi cavati son stati. Risultato tutt'esso del fumo aggressivo sarà, il quale gli occhi assalirà e tutta la vista prima annebbiata e poi dai sentori malati sfinita, distruggerà. Invero comunque la densità di tal fumo è saputa da San Giovanni l'Apostolo in Apocalisse quattordici undici, sì rivelata. D'altronde è conoscenza comune quanta molestia il fumo possa agli occhi arrecare. Vi fu mai persona la quale ivi esposta oltre un quarto d'ora potè rimanere assente atroce soffocazione? Se ciò è dunque qui in terra, come è nell'Inferno?
Per di più nella vita presente, la pena del fuoco, del caldo e forzato bruciore è la pena più grande di tutte le pene. Eppure il Vincenzo Santo Ferrero distinse i due fuochi acciocché il presente venisse visto per ciò che realmente è: un fuoco gelido in confronto all’altro. Nello specifico, il fuoco terreno è tale per recare vantaggio e propizio utilizzo. Quello infernale volge invece a tormentare. Il maledetto all'Inferno sarà indi avvolto da fiamme, come legno in una fornace. Troverà un abisso di fuoco sotto di sé, un altro sopra e un altro da ogni lato. Tal fuoco non sarà già di dolo in esterno, bensì di malore fino all'interno. Il corpo sarà null'altro che fuoco, al punto che anche le viscere il brucior patiranno. Il suo cuore brucerà nel suo petto, il suo cervello nella sua testa, il sangue suo nelle sue vene e persino il midollo nelle sue ossa. All'Inferno ciascun singolo dannato sarà ardente fornace. D'ugual modo, se in questa breve passata che è vita, alcuni non riescono a sopportare la camminata su una strada riscaldata dal sole e neppure resister alla fiamma di una candela, come poi gli stessi non temono quell fuoco divorante?
Si rammenti assai quindi che il fuoco dell'Inferno, quantunque divori i dannati, non li consuma. All'Inferno non v'è alcuna speranza, né vera né menzognera. Il miserabile davanti ai suoi ignobili occhi per sempre la sua eterna condanna avrà da tenere, per piangere sempre in quell'infinità di tormenti. Oltretutto, i maledetti d'Inferno non avranno da soffrire solamente gli istanti dell'atroce castigo, bensì in ogni singolo momento soffrono la pena dell'eternità, ivi dicendo “ciò che io soffro adesso lo dovrò soffrire per sempre!”. Le punizioni della presente esistenza terminano, passano, finiscono. Quelle infernali, invece, sono lì, giammai da svanire. Per quanto tremende, travaglianti, scottanti, deleterie e struggenti, le pene infernali spaventano del tutto poiché irrevocabili, prive di fine.
L’Inferno è poco per un peccato mortale. Un’offesa contro la maestà infinita richiede una punizione infinita, affermò San Bernardino da Siena.
In più questo dolore deve essere eterno. Ciò per il fatto che il dannato non può più soddisfare la pena per I propri peccati. Nella presente vita il peccatore, per via delle misure e dei meriti applicati dal divin Redentore Gesù Cristo il Salvatore, nostro Signore, può espiare i suoi debiti, ma cessata la vita, l’anima dannata è esclusa da questi meriti. Si racconta negli esercizi spirituali di Padre Segneri il giovane che a Roma il diavolo che abitava in un ossesso, alla domanda su quanto tempo avrebbe dovuto rimanere all'Inferno, rispose con rabbia, battendo la mano contro la sedia: "Per sempre. Per sempre". Così grande fu il terrore così ispirato, che molti giovani del seminario romano, presenti lì, fecero una confessione generale e cambiarono vita a questo grande sermone di due parole: "Per sempre. Per sempre". O Giuda Iscariota, oltre venti secoli sono passati e le tue pene all'Inferno in cui sei neanche son cominciate. Se un angelo dicesse a uno solo dei dannati: “tu lascerai l’Inferno, ma quando molte ere saranno passate quante sono le gocce d’acqua nel mare, le foglie di un albero, quanti i granelli di sabbia sulla riva del mare”, lui celebrerebbe dalla gioia ivi provata come un mendicante elevato a palagio, poiché la fine delle pene vedrebbe. Sì, perché tutte quelle ere passeranno anche se moltiplicate all'infinito e l'Inferno sarà sempre solo all'inizio. Ciascuna anima colà rilegata s'accorderebbe con Dio, lui chiedendo: Signore beato accrescete i miei supplizi quanto desiderate allungandoli quanto vorrete, ma vi prego, vi imploro un limite ad essi infine mettete. Giammai. il limite mai vi sarà poiché la tromba divina risuonaerà all’Inferno altro che: per sempre, per sempre. Ai demoni dunque diranno i dannati: che ora è? A quando la fine? Quando queste trombe, queste grida, questo fetore, queste fiamme, questi i tormenti finiranno? E la risposta sarà: giammai! E quanto dureranno allora? Per sempre.
Ah, O Signore nostro Gesù Cristo beato, schiarisci le menti di questi dannati che allorché vien detto loro di non perdere le loro anime, replicano: se Inferno sarà, beh pazienza! O Signore, e se nemmen la pazienza di reggere un freddo leggero hanno, di rimanere in una stanza calda, di sopportare un colpo, ebbene possono avere la sopportazione di vivere in un oceano di fuoco, contornati da diavoli, e abbandonati da Te, per tutta l’eternità?
Sull'aspetto demoniaco
Oltre al ciò già esposto, la terribile apparenza degli spiriti demoniaci renderà la morte ancor più allarmante. È l'opinione di parecchi padri che chiunque spiri veda il terribile nemico, il maligno. Tale visione deve essere ripudiante assai ed il terrore parimenti indescrivibile per il morente. Fu riportato che a fratello Egidio, durante una preghiera nella sua cella, apparve il diavolo in modo così spaventoso che il fratello perse addirittura la facoltà della parola, pensando che fosse ormai giunta la sua ultima ora. Giacché impossibilitato dal pronunciar parola, egli alzò le braccia al cielo supplicando Dio con umiltà e l'orrenda apparizione al che scomparve. Dopodiché, quando narrarò tutto questo ai suoi fratelli monaci, ciascuno di essi tremò dalla testa ai piedi allorquando udì la raccapricciante descrizione dell'avversario del genere umano.
Invece, virando verso San Francesco, vi fu il seguente dialogo fra il Santo ed un fedele. Padre, avete mai visto in questo mondo un qualcosa di così terribile al punto da poter uccidere qualcuno? Il Santo rispose: "L'ho davvero vista una tale cosa, null'altro che il demonio. Così vile che nessuno potrebbe contemplarlo anche per un istante e sopravvivere, a meno che Dio non abbia appunto esplicitamente concesso di sopravvivere a ciò".
San Cirillo scrisse a Sant'Agostino di modo da informarlo rispetto al fatto che uno dei tre uomini che risuscitarono affermò: "Allorché l’ora della morte si appressava, una moltitudine di demoni innumerevoli sì è, venne e stette di fronte a me. Le forme d’essi erano più orribili di qualunque remoto concepimento possibile della umana fantasia. Si preferirebbe bruciar sul rogo piuttosto che essere soggetti a tale vigilanza. Questi demoni, riunitisi intorno a me, mi hanno rimproverato inoltre tutte le mie colpe ed i miei errori, volendo spingere il mio pensiero alla disperazione e, se Dio non fosse intervenuto in mia assistenza, ci sarebbero riusciti".
Sant'Antonio similmente narrò che uno dei fratelli del suo ordine urlò avanti l'apparizione di un demone. Nel dettaglio, i suoi compagni monaci correndo allarmati verso di lui, lo trovarono più morto che vivo. Dopo avergli somministrato qualcosa per rinvigorire, gli domandarono quale fosse stato il problema. Egli rispose loro che il diavolo gli era apparso, terrorizzandolo al punto tale che la vita lo aveva lasciato. Alla richiesta di delinearlo, egli rispose: "Ciò non posso dire, posso solamente dichiarare che se mi fosse stata data una scelta, avrei preferito essere gettato in una fornace piuttosto che mirare il diavolo".
Si apprende la medesima cosa studiando la vita di Santa Caterina da Siena. Ella disse che avrebbe preferito camminare sopra un sentiero rovente, piuttosto che contemplare anche per un solo istante quel demone. Pertanto, se la vista del male in persona è così disgustosamente intollerabile, spingendo anche i santi a desiderare la sofferenza ardente, quale sarà l'orrore provato dai dannati una volta ridotti per sempre nella mischia di innumerevoli demoni? Quanto saresti terrorizzato se un cane rabbioso improvvisamente ti saltasse addosso, sbattendoti a terra e iniziando a sbranarti con le sue zanne? Non si pensi che il demone non attacchi i dannati con meno furore o che li tratti con più misericordia.
Nella leggenda di Sant'Antonio Eremita si racconta che i demoni apparvero lui in plurimi modi, menandolo a temerli in modi indicibili. A volte presero la forma di bestie feroci, leoni, orsi, draghi e cani selvatici. Altre apparvero sotto forma umana, come uomini feroci, belle donne od orribili mostri. Talvolta lo picchiarono, abusando di lui così tanto sin da lasciarlo mezzo morto. Talvolta, invece, lo terrorizzarono sì tanto nelle loro strane spettrali apparizioni, che se Dio ed il suo angelo custode non fossero giunti in suo soccorso, sarebbe sì spirato. Ebbene, dunque, se ciò fu fatto ad un uomo di vita e di condotta santa contro la quale essi detenevano nessun potere malvagio, cosa potrà accadere all'Inferno, dove i peccatori saranno allora completamente ed ormai definitivamente sotto il loro potere? Davvero nessuno è in grado di immaginare e concepire quali terrori e tormenti orchestreranno tali spiriti all'Inferno, molestanti i dannati riversando su di quelli la loro diabolica malizia.
Parecchi si rincuorano dicendo "Comunque sia, si starà con i propri conoscenti lì all'Inferno, non ci sentiremo soli". Oh, che letale illusione, tale spuria e falsa convinzione! Ciascuna anima perduta all'Inferno preferirebbe rimaner da sola qualora le fosse data tale opzione. Ovvero, siccome sulla Terra è oltre il terribile il convivere con un individuo recante qualcuno del male alcuno, peggio ancora convivere con un nemico, anch'ivi esser circondati da migliaia di persone odianti e odiate dal più profondo del cuore non sarà punto piccola afflizione. Infatti, eziandio i padri e le madri, eziandio i fratelli e le sorelle, eziandio le mogli ed i mariti, eziandio i figli e figlie, eziandio gli amici e i più cari, piuttosto che mostrarti la benché minima gratitudine, cercheranno soltanto di ingiuriarti.
Il dolore di perdere la gloria celeste
Comunque sia, San Giovanni Crisostomo dichiarò: “io so di molti che temono l’Inferno soltanto per i suoi dolori fisici, ma io asserisco che la perdita della Gloria Eterna è la fonte del più amaro dolore che tutti gli altri tormenti infernali”. Il maligno medesimo fu costretto ad ammettere tutto ciò, come si legge nelle leggende del venerabile Giordano, un tempo generale dell'ordine domenicano. Allorché Giordano dunque chiese a Satana, nella persona la quale ne era posseduta, ciò che il tormento principale dell'Inferno fosse mai, quella rispose: "la mancanza eterna del Signore Dio". "E Dio è così bello da ammirare?" chiese Giordano. Dopo che il Diavolo disse che Dio era il più bello fra tutte le cose, Giordano domandò di nuovo: "quanto è grande la sua bellezza?" rispose l’altro "Sei insano nel tuo cuore per rivolgermi una simile domanda. Non lo sai che la sua bellezza è ineffabile, sicché incomparabile?" Giordano continuò comunque: "Dammi un'idea della grandezza della bellezza divina". Satana rispose: "Immagina una sfera di cristallo mille volte più luminosa del sole, avente la bellezza di tutti i colori dell'arcobaleno, la fragranza di ogni fiore, la dolcezza di ogni sapore più delizioso, il costo di ogni pietra più preziosa, la bontà dell'uomo e l'attrattiva di ogni angelo del Cielo combinati assieme". Orbene, per quanto tale cristallo possa essere puro, giusto e prezioso, rispetto alla bellezza divina esso risulterebbe lurido, fetido e sì sporco. Il buon monaco soggiunse: "Cosa daresti adunque tu pur di vedere Dio?" Il demonio terminò: "Se mai vi fosse un pilastro collegante la terra al cielo, ricoperto di chiodi appuntiti e di ganci taglienti, sarei ben felice di essere strusciato su e giù per esso in tutta la sua lunghezza, d'oggi innanzi sino al giorno del giudizio, per mirare e contemplare la divina immagine anche per un solo istante".
Orbene, si sa davvero cos'è l'eternità? Qual è la sua effettiva durata? L'eternità, invero, è quel qualcosa che ha né inizio né fine. Essa è il tempo sempre presente e che non passa mai. Sicché i tormenti dei dannati finiranno mai? Essi passeranno mai? Trascorsi i mille anni, ne dovranno passare altri mille, e dopo altri mille ancora, e ciò sarebbe nulla ancora e così via, per sempre. Nessuno dei dannati potrà mai immaginare quanto rimarrà all'Inferno poiché colà non v’è successione tra giorni e tra notti, il tempo è mai diviso, ma in effetti, v'è sol che una sola notte cominciante l'istante in cui si sarà quivi entrati e terminante mai.
I dannati sarebbero contenti, gai, giocondi assai e loderebbero il Signore Dio all'infinito, se potessero anche attendere milioni e milioni di anni di tormento e di tortura pur di essere ad un certo punto liberati dalle loro terribili miserie. Tuttavia, non v’è speranza per tale eventualità, non v'è speranza per l'attenuazione dell'Inferno. Alcuni potrebbero presumere che i dannati si possano abituare ai loro supplizi e che nel tempo essi diventino impercettibili se non indifferenti. Giammai, niente. Così non è e mai sarà. I dannati sono e saranno per sempre condannati a udire e subire le loro torture, alla loro massima intensità, ciascuna anima oggi all'Inferno è proprio in tale stato, soffrente i medesimi supplizi che iniziò a subire dal primo istante in cui quivi fu spedita, continuante a sentirsi in tale modo anche dopo migliaia e migliaia di anni, mai giungendo ad una fine.
L’anima all'Inferno, vittima di indescrivibile dolore, si guarda attorno in cerca di sollievo e conforto. Ma nemmeno uno sguardo di simpatia la saluta, dacché circondata da demoni crudeli e terribili avversari, senza incontrare alcuna compassione dove lei è. Alza gli occhi al Cielo e ne capisce la bellezza assoluta, il suo incanto, il suo essere delizioso, la sua pienezza di gioia, e ricorda che era stata creata e destinata a godere di tale beatitudine. E ora, nel mezzo dei suoi più atroci dolori, anela ai suoi piaceri con un desiderio ancora più indescrivibile, e fa sforzi straordinari per giungervi, ma non può lasciare la sua dimora di tormento. Nessuno appare prestarle attenzione in Cielo. E dunque eccovi lì a mirare il trono che il Signore nella sua bontà vi aveva preparato, ormai occupato da qualcun altro. Non v'è più spazio per lei in Cielo. Quivi osserva taluni suoi parenti, compagni, conoscenti, ma nessuno d’essi desta a lei attenzione. Lei infatti realizza che tutti gli eletti in Cielo godono di ineffabilissime soddisfazioni, mentre lei invano si esaurisce ad appellare i Santi, la Madonna ed il Redentore stesso.
L'anima si sente attratta da Dio con un irrefrenabile impulso comprendendo come solamente Egli possa attenuare la sua sete di gioia e gaudio, rendendola felice. Aspira e brama di possederlo, lei si sforza ripetutamente di lanciarsi verso di Lui, però respinta da un'invincibile forza, percependosi oggetto dell’ira divina, dinnanzi all'anatema di Dio. Cosciente della mancanza di speranza quindi, cosciente che accettata nella vita beata e benedetta mai sarà, cosciente che tale luogo di miseria non lascerà giammai più.
Che tormento per il dannato vedere la causa della sua stessa dannazione. Anche ora, in questo istante, la propria vita passata appare come non altro che un qualcosa che eziandio non fu, meri istanti, sogni sbiaditi, oblio. Come apparirebbero sicché sessanta, settant'anni di memorie e di ricordi sulla terrar giù all'Inferno? Quando nella profondità dell'eternità, dopo un secolo od anche un millennio, la loro infinità è sol che incominciata? Ma perché ho detto solo settanta anni? Mettiamo settanta anni di vita spesi integralmente nel piacere. E forse il peccatore che vive senza Dio si rallegra sempre dei suoi peccati? Quanto durano poi in effetti i piaceri del peccato? Nemmeno pochi istanti, così poco durano.
Il danno si pente della distruzione della sua anima per una questione banale
Il resto del tempo concesso all'uomo peccatore è dunque speso in incessante dolore ed amarezza, sicché come mai potranno tali effimeri istanti di piacere apparire all'anima perduta nelle fiamme dell'Inferno? Come potrà poi delinearsi l'ultimo peccato causante la sua definitiva dannazione? O come dunque esclamerà? Per un miserabile piacere durante sol che un attimo, scomparente come il vapor nell'aria, dipartito appena assaporato, per tale nullità io continuerò a bruciare all'infinito in questo fuoco eterno, disperata come sono e per sempre da tutti abbandonata. Ahimè, sì, per sempre, finché Dio sarà Dio, sì per l'eternità. San Tommaso D'Aquino disse: "La pena principale dei dannati è il vedere che essi si son perduti per niente e che avrebbero potuto facilmente assai con buona volontà meritar la celeste gloria eterna, l’avessero scelto". Tale forma di rimorso consisterà pertanto nel pensare a quanto poco si sarebbe potuto fare per salvarsi.
A Sant’Umberto apparve una volta un dannato, dicendogli che tra tutti i tormenti che lo affliggevano all'Inferno, il peggiore era quello di riflettere sul fatto che egli si era perduto per veramente poco e che avrebbe potuto recuperare con minimo sforzo per salvarsi. Allora dunque dirà il maledetto: "Se mi fossi mortificato impedendo ai miei occhi di fissare quell'oggetto, se in tale circostanza avessi vinto il rispetto umano, se avessi fuggito quell'occasione, quell'amicizia, quella conversazione, non sarei ora perduto. Se avessi avuto cura di confessarmi ogni settimana, di fare le mie letture cattoliche spirituali, di raccomandarmi alla Madonna ed a Gesù Cristo, sarei mai più ricaduto nei miei peccati. Ciononostante, io ho spesso preso buone risoluzioni, ahimè, però operando nulla ai riguardi. Anzi, dopo aver messo mano all'opera, non ho perseverato, ed è così che io mi son perduto. L'angelico dottore infine dichiarò che il verme che rode ma non muore, altro non è che il rimorso di coscienza, da cui I dannati sono eternamente rosi. In diverse maniere truciderà la coscienza il cuor dei dannati. Il pensiero peggiore e sì più affliggente, non avrà da concernere il fuoco, il terrore o i supplizi infernali, bensì quel rimorso così intollerabile. Eternamente felice essere potuto sarei. Invece eccomi qui condannato e dannato per sempre, per sempre.
Chissà, la presente considerazione potrebbe forse essere l'ultimo appello si rivolto da Cristo Gesù nostro Signore? L'ultima chiamata ch'egli offra? Chissà, forse, non si cambi d'ora innanzi condotta, al prossimo peccato mortale, il Signore Cristo nostro Gesù per sempre dipartirà, e forse, proprio per tale peccato, s’avrà da patire l'Inferno in eterno assieme a tutti quei folli che ora sono lì a confessare i loro peccati. Allorché il demonio tornerà a recare discordia per via tentatrice, si pensi all'Inferno e si ricorra al Signore ed alla sua Santissima Vergine Madre. Il Pensiero dell’Inferno ti libererà da esso.
San Bernardino da Siena disse: " Fra tutti i consigli del Cristo, il più celebre, quasi ad essere il fondamento della religione, è quello di evitare le occasioni del peccato. Il diavolo una volta confessò, obbligato a farlo durante un esorcismo, che di tutte le prediche e i sermoni, la paternale più da lui temuta è quella discutente il fuggire dalle occasioni del peccato, e con ragione, sicché il demonio ride alle risoluzioni e promesse di un peccatore penitente non fuggente le occasioni del peccato.
Nostro Signore Gesù Cristo avvertì svariate volte rispetto al dovere di rimanere in guardia con i demoni così come con gli uomini. "Guardatevi dagli uomini" (Matteo 10, 17). Gli uomini sono talvolta peggio dei demoni, poiché i demoni prendono la fuga dinanzi alle preghiere, alle orazioni e alle invocazioni dei santissimi nomi di Gesù e Maria. Ma laddove le malvagie frequentazioni spingano certuno a peccare e quelli tenti la difesa attraverso la parola spirituale agli uomini cattivi, ciò non funzionerebbe, essi non desisterebbero, anzi, si spingerebbero oltre, essi comincerebbero a deriderlo, a dargli del folle, dell'ignorante, dell'arretrato, del buono a nulla insomma, ed allorquando privi di ulteriore denigrazione, concluderebbero accusandolo di essere un ipocrita ostentante santità. Purtroppo, di modo da evitare l'esposizione a tali tormenti, svariate anime deboli si associano infelicemente a tali ministri di Lucifero, indi ritornando al loro vomito.
Conclusione
Sicché coraggio e carica: fare di tutto, sacrificare di tutto, osare tutto, di modo da guadagnare il gaudio del ciel celeste, perché non potremo mai comprare il Paradiso a un prezzo troppo caro. Se operassimo per ottenere un posto nel Paradiso anche soltanto la metà di ciò che le persone svolgono per guadagnarsi da vivere, acquistare un po’ di ricchezza, potere o fama o godersi la vita, potremmo essere sicuri di ottenere un grande posto fra i santi. Ed invero, per in ciò riuscire, occorre null'altro che il mantenimento dei comandamenti del Signore Dio e della sua Chiesa cattolica, frattanto portando le proprie piccole croci. Infatti, il Paradiso merita ogni sofferenza, ogni sacrificio, ogni lotta, ogni battaglia, ogni tortura, ogni dolore, ogni guerra peggio ancora ed “n” volte peggio. La vita è breve, le sue prove, le sue difficoltà, il suo travaglio, le sue tribolazioni, le sue croci sono sol che un breve passaggio. Ma il Paradiso ed i suoi gaudi, invece, sono inconcepibili, soddisfacendo ogni desiderio del cuore, finendo veramente mai.
Dunque, si preghi sempre nel proprio cuore quanto segue. Oh Signore Gesù misericordioso, io vi imploro per conto di codesta vostra morte amara e passionale e del giudizio universal in cui voi sarete il giudice del mondo intero, donatemi la grazia a ciò che io quel giorno risorga con la gioia e non con la vergogna. Amen.