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Morte e viaggio all'Inferno
Sulla terrena morte
Si consideri che terra s'era e che terra si ritornerà. Il giorno in cui si morirà arriverà per, poi, marcire in una tomba. Lo stesso fato attende tutti, l'alto ed il basso; il principe ed il plebeo; il ricco ed il povero. Appena l'anima avrà lasciato quella salma assieme all'ultimo respiro essa farà entrata nella non più arcana eternità ed il suo corpo tornerà alla polvere. S'immagini un uomo recentemente deceduto, si visioni il corpo giacente su quel letto, la testa china sul petto, il capello sregolato e sommerso dal sudore freddo della morte, gli occhi chiusi, le guance scarne, la lingua e le labbra color di piombo, quel cadavere sempre più gelido e pesante, la veglia pallida e tremante; l'indelebile visione di un genitore, parente, amico o conoscenza deceduta ha per sempre cambiato la presente vita, lasciando ormai sol che solitudine. Ma ancor più atroce è quando il corpo incomincia a decomporsi, 24 ore non son già trascorse che quel nauseabondo tanfo percepito è pervaso inesorabilmente nella stanza. Finestre aperte, incenso bruciato e fretta immensurabile per recare il corpo ad una qualche chiesa sotterrandolo dopodiché cosicché tutta la casa non venga più infettata. E se quel corpo appartenne ad uno di quei cosiddetti grandi della Terra allora potrà solamente che emanare un ancor più intollerabilmente disgustoso odore, l'odore della morte.
Si rammenti ciò che è accaduto a quel già fiero uomo: il desiderato; il favorito; l'acclamato; il preferito della società; ma or nient'altro che l'orrore e l'abominio di coloro che lo osservano. Fu conosciuto per le sue buone maniere alcuni affermano, per i suoi talenti altri dichiarano, per i suoi gesti graziosi tutti concordano, ma, ora, è già obliato ancorché appena deceduto. A notizia della sua morte alcuni ricordano il suo onore, altri il suo benessere economico, altri ancora patiscono quella futura mancanza di servizi che loro recherà ed ulteriori, invece, esultano per qualche vantaggio, sì, loro apportato. Ciononostante, d'ivi a breve non sarà più nominato. Dopo la funzione funebre e le condoglianze, l'argomento sarà altro e semmai la memoria di costui venga in futuro fortuitamente richiamata alcuni al dunque esclameranno: "No! Pietà, misericordia, mai più lo si rinomini!".
Si consideri che ciò il quale fu fatto alla morte di parenti e conoscenze, altrettanto verrà da altri operato allorché sarà giunta la propria di ora. In principio afflitti saranno dal proprio decesso, dalla propria morte, non per molto, tuttavia, poiché consolati da quella, sebbene vuota, materiale eredità che loro lasciata sarà stata. Ed in quella stanza medesima in cui si sarà visto il mondo per l'ultima volta nella vita, s'avrà spirato, sicché, dal Signore nostro Gesù Cristo colà giudicati si, sì, sarà stati, sì, in quella vera e propria stanza, si riderà, si scherzerà, si giocherà e si godrà esattamente come prima; ma la propria anima dove sarà a quel punto?
E perché si possa ben comprendere che cosa veramente s'è, o anima Cristiana, ci si rechi ad un obitorio, ad un sepolcro, presso una tomba, ad un camposanto, un cimitero; si conversi col becchino o con chi per professione esuma i deplorevoli cadaveri; s'apprenda come egli giornalmente contempla la polvere, la cenere ed i vermi e, sì, sospira! S'impari come quel cadavere interrato, giallo, prima, nero, poi, ed infine bianco ricoperto da quella disgustosa muffa e, poi, da melma e muco, in quell'abominevole corruzione, viene puntualmente penetrato da vermi e parassiti, alcuni sullo strato esteriore della pelle, alcuni dentro il corpo, altri appunto già entrati dentro la bocca e le budella. Le labbra ed i capelli ormai a pezzi, sgretolati, gli arti annichiliti ed allorché tutto consumato l'un l'altro essi si divoreranno per, poi, lasciare null'altro che un desolato scheletro, che a sua volta prossimo allo sgretolamento ed alla sparizione sol sarà. Braccia e gambe rotte, torace fracassato, cranio disgiunto ormai dal resto e tutto infin nel nulla, spazio vuoto, spazio veramente vuoto. Si comprende, adesso, cos'è un uomo? - Polvere soffiata via dal vento. Pertanto, nella morte, si personifichi sé stessi, si rammenti che terra s'era e che terra si ritornerà. Si ricordi, che tra qualche anno o fra qualche tempo la propria vita cesserà e se quando si morirà la propria anima sarà perduta, perduti, sì, s'ormai sarà. San Bernardo affermò: "Osservate i peccati dei fanciulli e vergognatevi, osservate quelli degli adulti e rammaricatevi, osservate la vostra empia vita ed espiate perché più tempo forse non avrete.".
Si rivolga il pensiero alle tombe dei passati e si pensi: cosa farebbero costoro per aver la vita eterna e cosa fa chi, invece, è vivo come me, che cosa faccio io? I gai, i gaudiosi, i felici del mondo son dal mondo reputati tali solo a fronte del piacere materiale dello stesso, ma esso ahinoi oblia che la morte arresta tutto ciò. "Cos'è la vita se non un effimero vapore?", scrisse, infatti, San Giacomo Apostolo.
Sul distacco della morte
Si rimembri quell'uomo riverito, ammirato e quasi venerato; quando sarà morto, egli odiato, schernito, ridicolizzato ed obliato sol sarà. Allorché arriva la morte, tutti se ne vanno ed il punto nel quale il proprio scheletro diventerà indistinguibile dagli altri è solo che scontato.
"Recatevi ai sepolcri - annunciò San Basilio - e discernete lì chi fu maestro e chi fu schiavo".
In questa Terra tutti gli uomini nascono diversi e son diversi, ma dopo la morte tutti diventano uguali. Ciò che accadde ai propri avi accadrà anche ai presenti: abitarono la propria dimora; dormirono nel proprio letto; ma, ora, non ci sono più e lo stesso accadrà ai presenti. Molti son coscienti della morte ma s'ingannano col pensiero che essa sia lontana, o meglio non vicina, ma essa è. "Agli uomini è imposto di morire una volta (Ebrei 9:27)". La sensazione della morte è iscritta dentro ogni uomo. "La morte è l'unica certezza - disse Sant'Agostino - ogni bene o male è incerto."
È incerto se un infante sarà ricco o povero, sano o malato, di morte giovane od anziana, tutto è incerto fuorché la morte. Se, quindi, si vivrà, si sappia bene che si vivrà, infine, per morire. Chi fu l'illuso che disconobbe mai la morte? Nessuno; mai nessuno osò tanto, deludendosi che mai sarebbe morto. Tutto ciò che accadde ai propri avi, sì, accadrà ai presenti; di tutti coloro che abitavano la propria nazione all'inizio dello scorso secolo ve n'è oggi pressoché nessuna traccia. Anche i principi, i re, gli imperatori ed i grandi della Terra hanno insegnato ed enfatizzato, con i loro bianchi mausolei e le sontuose lor iscrizioni, che di essi ormai non v'è altro che polvere racchiusa in una tomba. È, dunque, certo che alla morte s'è tutti condannati e che ogni passo che si faccia alla morte, sì, avvicina. Come il proprio nome fu registrato nei libri del Battesimo, prima o poi anche in quelli della morte esso terminerà. Come s'oggi parla dei propri avi, la santa memoria di mio padre, di mia madre, di mio fratello, di mia sorella, di mio zio, così anche altri diranno un giorno dei presenti. Come s'udì la campana ridondar per loro, anche altri la udiran per questi. Si guardi allora a quelle anime e si ascolti il loro monito: ieri toccò a me, oggi tocca a te. Lo stesso lo comunicano giornalmente le foto dei propri passati cari, i lori beni, i loro vestiti. In ogni epoca le stesse case si riempiono di nuove persone ed i loro corpi son con triste consuetudine sempre recati prima o poi alla tomba. Ed è prossimo ormai il tempo in cui né io, né tu, né nessun altro esisterà più su questa Terra ed allora si sarà tutti nell'eternità, la quale sarà o eterna giornata di gioia o eterna giornata di dolore. Non v'è via di mezzo, è certo e di Fede che una o l'altra strada sarà quella che s'infine imboccherà.
In verità, con la morte onnipresente nei loro pensieri, i santi han detestato ogni piacere di questa terrena vita. San Carlo Borromeo teneva costantemente un teschio sul suo comodino nell'intenzione di dimenticarsi mai del suo prima o poi vicino fato. Tutti i piaceri di questo mondo cessano in un sospiro morente, con un funerale, per discendere per sempre assieme al corpo dentro ad una tomba. Ciò che si sarà costruito con tanto sacrificio, accumulato, risparmiato, dilapidato dai propri discendenti sol sarà e quella tomba dimora propria sol rimarrà, sino al giorno del giudizio universale. E da lì Inferno o Paradiso saranno eternamente, escludendo l'uno l'altro, le proprie uniche destinazioni. È certo che moriremo tutti, ma il quando è incerto, niente è più certo della morte, ma ciò che è incerto è l'ora precisa della morte; l'anno, il mese, il giorno, l'ora, il momento, l'istante fissati per tutti sin dall'inizio dei tempi nei quali sia io che tu lasceremo questo mondo per entrare nell'eternità, ma quel momento è a tutti sconosciuto.
Ci si immagini accanto ad una persona con qualche misera ora rimasta davanti a sé. Si rifletta sul come egli è oppresso da dolore, paura, foiba, tristezza, depressione, soffocazione, afflizione, freddo sudore e mal di testa a tal punto che egli è persino inibito dal muoversi, dal comprendere e dal parlare. Tra le sue cospicue miserie v'è quella che la morte è ormai imminente ed invece che pensare alla sua anima, preparandosi per l'eternità, egli si preoccupa solamente dei medici che lo liberino dai dolori che lo stanno gradualmente distruggendo. Se almeno i suoi parenti avessero il coraggio di rivelargli il suo reale fato, ma, invece, no, non v'è ne è uno caritatevole abbastanza che gli annunci la sua incombente fine. Nessuno che lo consigli di ricevere i suoi ultimi Sacramenti, tutti si rifiutano per timore di impaurirlo e deprimerlo ancor di più. Ma frattanto, nonostante nessun avviso della sua prossima morte sia dato lui, il morente uomo osservando l'intera famiglia in subbuglio, in tumulto, le frequenti consultazioni mediche e gli innumerevoli e violenti rimedi adottati, si riempie di confusione e terrore ed emette continui attacchi di panico, paura, rimorso e diffidenza, per, poi, dire a sé stesso: "Ah, chissà? La mia morte è ormai arrivata.".
Quali saranno allora i suoi reali sentimenti al momento della comunicazione della sua attuale morte? "Signore, la sua malattia è mortale, deve ricevere i Sacramenti. Faccia pace con Dio e saluti il mondo.". "O sprovveduto che son stato! - la pover anima a quel punto esclamerà - Sarei potuto essere un santo con tutte le luci ed opportunità che Dio mi ha dato. Avrei potuto condurre una vita di gioia nella grazia di Dio. Ma, ora, che ne rimane di me e dei tanti anni che ho vissuto, se non rimorso e colpa da render all'onnipotente Cristo Dio? E difficilmente credo di poter sperare di veder la mia anima salvata, poiché ahimè io ho peccato.". E quando le farà tali considerazioni? Allorché l'olio della lampada sarà pressoché esaurito, allorché gli scenari di questa Terra saranno ormai al termine, allorché sarà davanti a quel bivio irrevocabile, allorché sospirerà per l'ultima volta gioia o disperazione; per quanto Dio sarà Dio. Che terrore sarà, dunque, per lui, risvegliarsi al mattino e pensare: "Questa mattina sono vivo ma questa sera sarò probabilmente morto. Oggi sono in questa stanza ma forse domani nella tomba. E l'anima mia, dove sarà essa?".
Che terrore quando vedrà accendersi la candela, il sudore freddo della morte, i suoi parenti ordinati di uscire dalla stanza da non rivedere più, la sua vista sbiadirsi, la stanza annebbiarsi, e la visione oscurarsi. Che terrore! - Poiché la morte è di già sopraggiunta. La morte, contemplata attraverso i sensi, terrifica e genera paura. Veduta, invece, dalla prospettiva della Fede Universale, essa è sol che desiderabile. Asserì Sant'Agostino: "Cosa è la continuazione della vita se non la continuazione delle sofferenze?".
La vita non è per riposare ma per travagliare verso la salvezza, verso la vita eterna. I tormenti affliggenti i peccatori all'ora della morte assillano giammai i santi. Questi ultimi, avendo separato i loro cuori dai beni peculiari a questo mondo durante le loro vite, non sono addolorati al pensiero del distacco eterno. La vita altro non è che una continua guerra contro l'Inferno, nella quale si è costantemente esposti al pericolo di perdere per sempre il Signore nostro Gesù Cristo. Tal pericolo fu sul letto di morte da San Pietro d'Alcantara espresso ad un assistente religioso: "Fratello mio, giacché ancor in pericolo io son di dannazione, distanziati da me!". Santa Teresa riconobbe similmente tutto ciò. Ciascuna volta che l'orologio ella udiva rintoccare, gioiva gaia per un'altra ora di vita già trascorsa, dichiarava, infatti: "In ogni momento di vita, di perder Dio io temo.".
E che consolazione allorché si rimembreranno gli onori resi alla Signora nostra la Madonna Maria madre di Dio celeste a quel punto: i Santi Rosari lei recitati; i digiuni lei sacrificati il Sabato e così via. Maria è detta Vergine Fedelissima imperciocché la sua fedeltà è talmente grande che ella è consolatrice dei fedeli Cristiani servitori anche all'ora della loro morte. Disse, allorché morente, un devotissimo alla Vergine Maria: "La consolazione trovabile sul punto di morte ricordando d'aver sempre servito nostra Santa Signora è per voi inconcepibile. Se poteste solamente immaginare ciò che ho appena provato sapendo d'aver servito questa nostra carissima madre - ahimè non so io come descriverlo.".
Professava San Bonaventura: "Colui negligente il servizio di Nostra Signora perirà nei suoi peccati. Colui ripudiante l'invocazione della Santa Vergine finirà giammai in Paradiso. Non solamente, per coloro che a Maria rendono nessuna grazia, non vi sarà salvezza ma v'è già per loro nessuna speranza. Nessuno può esser salvato assente la protezione della Santissima Vergine Maria nostra Signora." . In ugual maniera, esprimeva Sant'Alfonso: "Perseverando con autenticamente Mariana devozione sino alla morte, la salvezza è garantita.". Analogamente, San Luigi di Montfort rivelava: "Dei veri figli di Maria Vergine, nessuno mai andò perso.".
Sul giudizio particolare
Si consideri, nel primo luogo, spirante l'uomo, la sequenza dell'apparizione dell'anima dinnanzi al Giudice: l'accusa; l'esame; la sentenza. Primariamente, si contempli sull'apparizione stessa. È opinione comune infatti, fra i teologi, che il giudizio in per sé è tale al momento della morte umana, è sul medesimo posto in cui l'anima si disgiunge dal suo corpo che essa è da Gesù Cristo nostro Signore giudicata. Quanto sudano freddo i criminali ove dinnanzi ad un mero giudice terreno in attesa di sentenza; che dolore è quello di un fanciullo allorché rimproverato e che rammarico quello di un onorevole o di un principe quando offeso o maltrattato. Ma quanto mai più atroce potrà esser, dunque, la sensazione di quell'anima dinnanzi al Signore nostro Gesù Cristo, disdegnato per tutta la sua vita? Sicché, dopo la morte, immediatamente, l'inevitabile giudizio: Cielo; Purgatorio od Inferno. San Paolo infatti proclamò, in Filippesi 2:12, che la necessità di ricercare la salvezza deve avvenire con terrore e tremacuore. Maria Santa nostra comunicò, invece, che la Divina misericordia sarebbe rimasta di generazione in generazione presso coloro i quali il Signore Cristo Gesù nostro avrebbero temuto.
Sui pochi eletti
Diversi padri della Chiesa asserirono che ai tempi del Diluvio Universale non più di 8 persone furono risparmiate. Parimenti, alla distruzione di Sodoma e Gomorra 4 sopravvissero e dei 600,000 Ebrei fuggiti dall'Egitto 2 soli nella promessa terra giunsero, nel deserto trovarono la morte gli altri. Tali prototipi dichiarano, pertanto, che, in ultimo, proporzionalmente pochi saranno i Cristiani, i Cattolici, i fedeli universali dell'Onnipotente Dio Signore nostro Gesù Cristo. Ecco, dunque, alcuni insegnamenti dei santi, dei teologi e dottori della Chiesa concernenti il final destino delle genti.
"È certezza che pochi son gli eletti. (Sant'Agostino)".
"La maggior parte degli uomini non vedrà Dio. (San Giustino martire)".
"Coloro che si salveranno saranno in minoranza. (San Tommaso Aquino)".
"S'osserva la più parte degli uomini condursi verso la dannazione eterna piuttosto che verso l'amore per Dio. (Sant'Alfonso de Liguori)".
"Fra gli adulti, pochi son gli eletti, a causa dei peccati della carne. Ad eccezione dei defunti nell'età fanciulla, la maggior parte della gente sarà dannata. (San Remo di Durocortorum)".
"Su 100,000 peccatori perseveranti nel peccato sino alla morte, appena 1 se ne salva. (San Girolamo)".
Sul garantito Inferno fuori dalla Cattolica Cristiana Chiesa
Papa Eugenio IV, anno 1441, ex-cattedra, Cantate Domino, Concilio di Firenze:
"La Santa Romana Chiesa crede, professa e predica fermamente che: chiunque si trovi al di fuori della Chiesa Cattolica, non già i pagani ma anche gli Ebrei, gli eretici o gli scismatici, potrà giammai ottener la vita eterna, egli finirà, bensì, nel fuoco infernale preparato per il Diavolo e per i suoi angeli a meno che si riunisca al gregge prima della fine della vita sua; e che l'unità di tal corpo ecclesiastico è talmente importante che solamente per coloro i quali rimarranno dentro essa saranno i suoi Sacramenti di beneficio per la loro salvezza ed altri atti di pietà e di carità, come il digiuno ed elemosina, producenti ricompensa eterna; e che nessuno, per quanto egli abbia elemosinato, anche se egli abbia persino asperso sangue nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, potrà essere salvato, a meno che rimanga nel petto e nell'unità della Chiesa Cattolica.".
La maggior parte dei Cattolici finirà all'Inferno. La più parte degli apparenti Cristiani odierni è dannata. La ben felice Anna Maria Taigi disse: "Il destino dei morenti durante una giornata è che nemmeno 10 vedono direttamente il Paradiso, diversi terminano in Purgatorio ed innumerevoli, pressati come fiocchi di neve in Inverno sulla terra, giungono all'Inferno.". Per qual motivo così tanti Cattolici vanno all'Inferno? Secondo Santa Teresa d'Avila: "Le cattive confessioni dannano la maggior parte dei Cristiani.". La maggioranza anche dei preti finisce all'Inferno. San Giovanni Crisostomo asserì infatti: "Non parlo da sfrontato, bensì dò voce ai miei sentimenti, alla convinzione ed alla persuasione che mi ritrovo: non penso che i sacerdoti si salvino in gran numero e credo, inoltre, che vi siano molti più dannati che eletti.". San Vincenzo di Paolo affermò parimenti: "Davanti al pensiero della miriade di persone viventi in un costante stato di dannazione, io tremo.".
Sull'Inferno per gli infanti
San Gregorio Magno relazionò che un bimbo di soli 5 anni, ormai cosciente, sicché, dotato di ragione e facoltà d'azione, fu ucciso dal Demonio per una bestemmia per, poi, essere trascinato giù all'Inferno. Un'altro bambino di anni 8 morì immediatamente a seguito del suo primo peccato, rimanendo perduto d'ivi per sempre. La Santissima Vergine Maria rivelò al servitore del Signore nostro Gesù Cristo Benedetto di Firenze che un fanciullo di anni 12 fu dannato per il suo primo peccato. La più grafica descrizione dell'Inferno fu esposta dalla Signora ostra la Madonna di Fatima a 3 giovanissimi pastori nel 1917 in Portogallo. Ecco cosa videro i 3 infanti:
"Nostra Signora aprì di nuovo le mani, come fece durante gli ultimi 2 mesi. La riflessione parve penetrare la Terra e vedemmo un grande mare di fuoco il quale sembrava stare proprio sotto terra. Immersi in quel fuoco, vedemmo i demoni e le anime, quest'ultime come se fossero braci trasparenti e nere o bronzee, con forma umana, fluttuanti nell'incendio sorrette dalle fiamme le quali uscivano da loro stesse, il tutto assieme a nuvole di fumo, cadendo da tutte le parti, simili al cadere delle scintille nei grandi incendi, senza peso né equilibrio, tra grida e gemiti di dolore e disperazione che mettevano orrore e facevano tremare dalla paura. I demoni, invece, si riconoscevano dalle forme orribili e ributtanti di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti e neri.".
Inorriditi, gli infanti, colà tormentati, si al che rivolsero verso la Santissima Vergine Maria la quale, per quanto gentilmente, disse loro tristemente:
"Avete visto l'inferno dove cadono le anime dei poveri peccatori. Per salvarle, Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al Mio Cuore Immacolato.".
La Madonna di Fatima confidò, inoltre, che il peccato più plagiante il mondo è quello della carne. Nello stesso modo, ella dichiarò che la più parte dei matrimoni sono degli abomini dinnanzi al cospetto del Signore nostro Gesù Cristo, non piacendoGli poiché non Suoi. Suor Lucia di Fatima affermò:
"Si tenga conto della condotta dell'umanità, sol che una parte d'essa si, infine, salverà.".
Lucia dos Santos riportando una conversazione con Giacinta Marto:
"Chiesi a Giacinta: a che cosa stai pensando? Giacinta mi ripose: alla guerre che verranno ed a tutta la gente ch'ivi morente sarà destinata all'Inferno.".
Il Signore nostro Gesù Cristo, d'altronde, informò tutti rispetto all'esiguo numero di eletti.
"Or alcuno disse: Signore, sono eglino pochi coloro che son salvati? Ed egli disse loro: Sforzatevi d'entrar per la porta stretta, perciocché io vi dico che molti cercheranno d'entrare, e non potranno (Luca 13:23-24)"
"Entrate per la porta stretta, perciocché larga è la porta, e spaziosa la via, che mena alla perdizione; e molti son coloro che entran per essa. Quanto è stratta la porta, ed angusta la via che mena alla vita! e pochi son coloro che la trovano. (Matteo 7:13-14)."
"E se il giusto è appena salvato dove comparirà l'empio e il peccatore? (1 Pietro 4:18)"
Non è tanto il fatto che Dio non ami l'uomo bensì quanto l'uomo non ami Dio che conduce all'Inferno. Non è tanto il fatto di che cosa abbia fatto l'uomo bensì che cosa non abbia fatto che conduce all'Inferno. Non è tanto il fatto di essere stati malvagi bensì di non essere stati buoni abbastanza che conduce all'Inferno. Non è tanto il fatto che Dio non sia giusto bensì quanto l'uomo sia ingiusto che conduce all'Inferno.
Sul giudizio universale
Si descriverà prima la risurrezione dei giusti ed a seguito quella dei dannati. Risvegliate dal suono delle trombe angeliche, tutte le anime dei giusti, accompagnate dai loro Santi Angeli Custodi, dal Cielo faran discesa per, poi, essere recate sul luogo nel quale il loro corpo fu una volta sotterrato od inumato. Le tombe saranno al che aperte ed i corpi giacenti dentro esse, ancorché privi di vita, incorrotti saranno ritrovati. Il corpo d'ogni uomo colà giacerà, come se dormisse, ma, poi, per il potere del Signore nostro Gesù Cristo, alla sua anima ricongiunto esso verrà, acquisendo nuovamente vita in quell'esatto istante.
Che sensazione proverà allora tale corpo allorché ancor una volta in vita, tipificato da così belle forme? Anima e corpo s'accoglieranno con amore immensurabile, s'abbracceranno affettuosamente con emozioni dalla sincerità più significativa. Dirà al corpo, quindi, l'anima: "Quanto ho già io atteso. Quanto ho già io desiderato questo giorno? Ti, ora, condurrò presso le Celesti Regioni benedette, affinché si possa ivi celebrare per l'eternità.". Orbene, con inesprimibile soddisfazione corpo ed anima si ricongiungeranno e con loro anche i Santi Angeli Custodi feliciteranno, esultanti di benedizione e di gloriosa, sì, risurrezione. Dunque, in tutti i campisanti, cimiteri e luoghi in cui quantità di gente interrata allora sarà stata, per primi i beati ed i benedetti risusciteranno, con corpi in gloria ed in splendore. Proclamò il Signore Gesù Cristo nostro: "Perché l'ora arriverà in cui tutti i giacenti nei sepolcri udiranno la voce del Figlio di Dio, per, poi, uscire, i benefattori, per risorgere alla vita, ma i malfattori per risuscitare, sì, alla morte.". Ebbene, dunque, se in ogni cimitero tutti i sepolti risusciteranno, fra cui un numero di buoni e giusti, s'immagini il reciproco piacere lì provato di vedersi nuovamente gli uni gli altri, radianti nei propri corpi di gloria, sì, splendenti.
La risurrezione dei malvagi seguirà quella dei giusti immediatamente, tuttavia, ma quanto diversa sarà essa? Ovunque vi sarà stata inumazione, ciascuna anima perduta, per quanto contrariata, al suo terreno corpo dovrà far ritorno, vi sarà allora null'altro che disgusto e pura reticenza. Allorché dinnanzi ai loro corpi quelle anime saranno ricondotte, repulsione grande al punto d'odio solamente vi sarà. Esse preferiranno il ritorno immediato a quel tremendo Inferno piuttosto che riunirsi a quel già corpo e, sì, lì disgustoso scempio. Ciò in sol virtù del fatto che i corpi dei riprovati rassomiglieranno a demoni più che a uomini: ripulsivi; nauseabondi; abominevoli; sì, offensivi essi saranno. Ma quantunque al proprio corpo ciascuna anima tenterà d'opporsi, per quanto repellente, alla volontà di Dio essa, infine, si sottometterà. Esclamerà infatti essa: "Tu, maledetto corpo! Ho già per centinaia di anni dovuto sopportare gli infernali tormenti dell'eterno fuoco ma, adesso, debbo far ivi ritorno persino assieme a te! A te la colpa per tutte le nostre sventure! Invano furono i miei buoni consigli, poiché giammai li ascoltasti, perduti per sempre siamo, dunque, ora! Male ne abbia io, mal capitata anima che altro non sono. Male ne abbia io, ahimè per sempre.".
Ebbene, i loro corpi saranno lesi assai, ripudianti, sì, all'apparenza, al punto tale di desiderare più nemmeno d'osservarsi l'uno l'altro. S'è forse mai capaci di descrivere precisamente il dolo ivi prevalente su tali creature sofferenti? Si rifletta assai, chiunque oda, ora, il tutto, sull'insensata disperazione che verrebbe ad affliggere qualora si finisse fra quelle anime perdute: "O no, che cosa ho fatto? Cosa ho commesso? Male ne abbia io, miserabile e null'altro! Maledetta sia mia moglie, che mi provocò al peccato! Maledetti siano i miei figli, essi la causa delle mie dannazioni! Maledetti i miei compari, i miei amici, le mie conoscenze, le maggiori occasioni delle mie calamità! Maledetti siano i partecipanti alla mia vita ed ai miei peccati, i quali a questo orribile fato mi hanno condannato!". Pertanto, ogni qual volta si passi presso un cimitero di quartiere, si oblii giammai che colà si resterà sino alla risurrezione. Cristallina, dunque, è la ragione per cui occorre ben sfruttare la vita ormai rimasta, di modo da sforzarsi per, poi, riuscire a far parte di quei giusti degni di partecipazione alle benedizioni eterne, assente, quindi, la condanna infinita dei dannati.
Finito tutto ciò sarà, dunque, il turno del giudizio universale. Senza ritardi giungerà, sicché, l'accusatore, Satana, Lucifero, il Demonio, il Maligno Diavolo. Asserì Sant'Agostino: "Il Demonio si presenterà dinnanzi al tribunale del Signore nostro Gesù Cristo per, poi, accusarci di qualunque nostra mala azione perpetrata nel corso della vita in Terra, indicando con disumana precisione il giorno, l'ora ed il momento nei quali il peccato in quesitone fu commesso.". Egli, recitando tutte le parole pronunciante durante le varie Confessioni, rinfaccerà al Signore Cristo Gesù nostro ogni infedeltà; accuserà tutte le reali colpe, precisando istante ed accadimento. Dirà, poi, al Tremendo Giudice Cristo Gesù Signore nostro: "Signore, Ti hanno abbandonato! Proprio Tu, che hai dato la Tua stessa vita per salvarli! Si sono fatti, sì, miei schiavi, ora, dunque, mi appartengono!". Ma si passi alla sentenza del Divino Redentore, del Salvatore, di Cristo Gesù nostro Signore. Ebbene, Egli, voltandosi verso gli eletti, proclamerà: "Venite, o beati e benedetti del Mio Padre, ereditate finalmente quel Regno preparatovi già da prima che il mondo fosse creato.".
Quando fu a San Francesco d'Assisi fu comunicato che parte degli eletti egli era diventato, fu pervaso dalla più sensazionale gioia. Che gaudio sarà, dunque, udire Cristo Gesù Signore nostro dire: "Venite, o beati e benedetti del Mio Padre, possedete, ora, quel Regno per voi preparato, poiché per voi vi saranno mai più dolori, vi saranno mai più paure, sicuri e salvi, ora, e sempre rimarrete.". Dall'altra parte i condannati, i quali al Signore nostro Gesù Cristo chiederanno: "E noi miserabili, o Signore, che ne sarà di noi?". L'eterno giudice Cristo Gesù nostro Signore al che rivelerà: "Voi, giacché le mie grazie avete voluto rigettare, allontanatevi da Me, nell'eterno fuoco, o maledetti ingrati! Ritiratevi dalla Mia presenza, poiché giammai vorrò più vedervi! Andatevene con la Mia maledizione, poiché le Mie benedizioni avete rifiutato!".
"E dove andremo così miserabili, o Signore?"
Nel fuoco eterno, all'Inferno, cosicch'ivi bruci corpo ed anima. Per quanti anni? Per quante generazioni? O no, per l'eternità; per sempre; per quanto Dio sarà Dio. A seguito di tal sentenza, raccontò Sant'Efraim, tutti i dannati diranno veramente addio agli angeli, ai santi, ai loro prossimi ed alla Vergine Santissima Maria la Madonna nostra Signora. Addio ai giusti; addio ai Celesti Cieli; addio ai parenti, i genitori, i fratelli, le sorelle, i figli e figlie; addio Maria madre di Dio. Sicché, nel mezzo della Terra, una voragine immensa s'aprirà, zeppa di demoni diabolici, nella quale tutti i dannati precipiteranno assieme. Porte ed entrate prenderanno, dopo, forma, per inghiottire, chiudersi ed aprirsi giammai più. Mai più, mai più, per sempre; per l'eternità. Maledetto sia il peccato! Che miserabile fine attende così tante povere anime, ahinoi, sebben malcapitate, ad un'eterna fine destinate.
Sulle pene Infernali
È di Fede che l'Inferno esiste. Nel centro esatto della Terra si trova tal prigione destinata ad esser punitiva per tutti peccatori rivoltatisi contro il Signore nostro Gesù Cristo. Che cos'è l'Inferno? È un luogo di tormenti. Un luogo di tormenti, nel quale tutti i sensi e tutte le energie dei riprovati subiscono ciascun i loro particolari supplizi ed ancor più tormentato sarà il senso per il quale pluri-offese a Dio saranno state perpetrate. Qual compassione, claustrofobia e, sì, persino terrore, si mai provano al pensiero di una detenzione in una cella superante i 40 od i 50 anni? Orbene, l'Inferno è quella cella la quale, però, mai più verra riaperta, costituita né da porte né uscite, ma sol che da oscurità, buio pesto, assente il più remoto di sole raggio, senza speranza, senza luce.
Anche l'olfatto deterrà le sue piaghe. Si legge nel vita del Martino Santo, che alla breve comparsa del Maligno il tanfo di cui la stanza fu riempita fu talmente abominevole per cui egli, poi, trascrisse: "Se basta solamente un demone ad emanare tale odore, quale disgustoso tanfo mai proveranno i peccatori destinati a marcire nell'Inferno eterno nel quale innumerevoli demoni ivi giacciono?". All'Inferno si è per di più ammassati gli uni sugli altri, ammassati come bestie in una stiva; anzi, accatastati come acini d'uva in attesa di una pressante vinificazione per la collera dell'Onnipotente Dio. Ecc'indi sorger un altro atroce quanto infinito incubo, quello dell'immobilità.
"Sieno stupefatti per la grandezza del tuo braccio, come una pietra. (Esodo 15:16)"
Per conseguenza, nella medesima posizione in cui all'Inferno si sarà precipitati nel giorno del giudizio universale, ebbene, in essa si dovrà restare d'ivi a sempre, giammai cambiando posto, giammai spostando piede o mano, giammai, per quanto Dio sarà Dio. L'udito stesso non colà risparmiato, poi, sarà, addolorato dalle continue lamentazioni ed urla di tutti i disperati miserabili. Non si creda che dal ciò vi sia mai tregua poiché i terribili diavoli mai cesseranno quel terribile baccano. Che strazio e che supplizio è mai quello per quale un malato lamentante, un neonato vagente, un cane abbaiante od un anziano, sì, russante sfinisca la ragione di qualunque uomo sulla presente Terra, che dolore? Povere anime, ora, dunque, quelle che patir dovranno le perpetue grida dell'Inferno supplicante. Si ben rimembri, inoltre, che ciascun uomo è sovente peccatore causa intemperanza, causa avidità, causa gola, nel bere e nel mangiare. È solo giusto, quindi, che il Signore nostro Gesù Cristo possa, infine, ricompensar severamente i contumaci peccatori di tale natura irriverente. Egli infatti disse: "Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. (Luca 6:25)".
In verità, è pressoché impossibile realmente immaginare le pene della fame, poiché, per quanto lunghe, giammai dall'uomo come infinite furono provate. Non pervenga il cibo per una sol giornata, ebbene, quanto lunga potrà essa infin sembrare in virtù del desiderio di mangiare? E se qualcuno si privasse, invece, di vivande per 2 od anche 3 di giorni, che miseria per tal uomo mai sarebbe? Ma di più, ove addirittura digiunasse l'uomo per una settimana e fosse ivi abbandonato alla sua logorante fame, cosa ne diverrebbe di tal anima dannata? Oltre alla fame, si rammenti anche quell'arsura di una bruciante sete, invero, sì, aldilà di qualunque descrizione. Chiunque è cosciente delle pene generate dalla sete, esse son semplicemente insopportabili. I veri assetati persino nelle pozzanghere più impure finirebbero per bere e semmai nessun rinfresco per loro si trovasse li attenderebbe niente altro che una morte dalla pena più straziante. Orbene, la sete sofferta dalle anime dannate nell'Inferno è infinitamente più terribile, più intensa, più dolorosa, assente il più remoto paragone con quella sperimentabile sul mondo. La provasse mai un uomo, sull'immediato colpo egli morirebbe.
Non v'è la tregua per all'Inferno i condannati. Condotti assente cessazioni da pene a pene essi sempre, sì, saranno - e con che sete! Ma è il caldo straziante generato dal fuoco dell'Inferno, ove la fiamma brucia giorno e notte, era per era, nel tempo a non finire, la fondamentale causa della sete intollerabile che i dannati già consuma. Essi, immersi nelle fiamme, giammai beneficiari d'acqua rinfrescante, si rammaricheranno ivi esclamando: "O quanto è tremenda questa sete!". Si ascolti il disperato appello, di un'anima perduta, per un mero goccio d'acqua: "Ed egli gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me, e manda Lazaro, acciocché intinga la punta del dito nell'acqua; e mi rinfreschi la lingua; perciocché io son tormentato da questa fiamma. (Luca 16:19)".
O mio caro Dio così misericordioso, vi supplico di donarmi sol che un poco d'acqua. Invidio domandandovi null'altro che una sola goccia d'acqua per acquietare un attimo questa mia bruciante lingua. Non rifiuterete mica una così piccola richiesta, vero? Voi, così lodato da tutte le creature, Bontà stessa che altro non siete? Ahimè tutta tal implorazione sarà sol che vana, poiché al che Dio sarà sordo a fronte di dette domande. Non solamente sarà ivi negata la mera goccia d'acqua, ma le più struggenti pene della fame verranno parimenti insoddisfatte. La gente di lì vorrà divorare non importa cosa in quella buia oscurità. Si pensi, dunque, alla fame qui in Terra, dall'erba alle foglie, dalle bestie più sporche alle interiora più sconce in mezzo al deserto sarebbero volute; persino la carne l'uno dell'altro vorrebbe esser staccata; madri sacrificanti i loro figliuoli e corpi sfamanti loro stessi ma, infine, da soli. Tutto ciò sino allo strenuo di tutte le forze, perdendo, infine, per la tortura subita, anche, sì, i sensi; per, poi, però, risvegliarsi nemmeno dopo un istante ed urlare, gridare, strillare, soffrire e nel mezzo della più miserabile morte di tutte le morti, infine, morire. Se questa è la fame qui in Terra, cosa ha da riservare, dunque, la fame all'Inferno? Mancanti vivande per qualche mera giornata, cosa dire di una striscia di tempo infinita? O che orrore, che dolore, che malore, la fame d'Inferno senza colore.
Sugli altri tormenti Infernali
Segue, ora, un aneddoto del Venerabile Beda riguardo ad un uomo malato che una notte passò, sì, alla morte. Il mattino seguente, a conoscenza ripresa, sorpresi ed attoniti furono i suoi vegliatori. Risuscitato nel letto nel quale spirò, il malato con Dio di un discorso narrò. Il Signore nostro Cristo Gesù accordò lui un'estensione ai suoi giorni di modo che condotta di vita avesse mutato. D'ivi a breve, dopo aver tramandato di fatto i suoi beni agli eredi figliuoli, e donato ai poveri degli altri suoi averi, in tutt'altra persona egli mutò. Presso i gelidi fiumi in tenda sostava, pregando e grazia rendendo al più alto Signore. Il giorno e la notte, l'Inverno e l'Estate, nel caldo e nel freddo dimora egli prese. Un giorno d'Inverno nella gelida acqua del fiume si volle gettare, tremando e rabbrividendo per, poi, presso di un luogo, in una vasca bollente finire, ivi gridando, gridando, gridando. Al che gli si chiese: perché volontà di subire tali torture? Poiché molto di peggio mi fu dato a vedere, rispose. Che cosa, che cosa? - gli si riprese. Ho veduto il modo per cui le malcapitate anime spedite all'altro mondo dal fuoco rabbioso all'acqua ghiacciata son trascinate; e, poi, di nuovo nel ghiaccio ed ancor nelle fiamme, realizzando alla fine quel che s'ha da soffrire senza, prima, patire. Le mie sofferenze, indi, son niente, proprio che niente. Orbene, detta storia, relazionata da un uomo del calibro del Venerabile Beda, è vicina all'Inferno ed a suoi tremendi tormenti come ben poche altre di storie.
Sui fumi Infernali
In tale orribile oscurità, i dannati, nella loro ingessatura perenne, avran da dolersi come ciechi impotenti e come coloro i cui occhi cavati son stati, perduti. Risultato tutt'esso del fumo aggressivo sarà, il quale gli occhi assalirà e tutta la vista, prima, annebbiata e, poi, dai sentori malati sfinita, distruggerà. Che sofferenza! Invero, comunque, la densità di tal fumo è saputa, da San Giovanni l'Apostolo, in Apocalisse 14:11, sì, rivelata. D'altronde, è conoscenza comune quanta molestia possa il fumo agli occhi recare. Vi fu mai persona la quale ivi esposta oltre un quarto d'ora poté rimanere assente atroce soffocazione. Se ciò è, dunque, qui in Terra, come è nell'Inferno? Per di più, nella vita presente, la pena del fuoco, del caldo e forzato bruciore, è la pena più grande di tutte le pene. Eppure, il Vincenzo Santo Ferrero, distinse i 2 fuochi acciocché il presente venisse visto per ciò che realmente è, un fuoco gelido e freddo.
Nello specifico, il fuoco terreno è tale per recare vantaggio e propizio utilizzo, quello infernale volge, invece, a tormentare. Il maledetto all'Inferno sarà, indi, avvolto da fiamme come legno in una fornace. Sommersi dal fuoco saranno i suoi piedi, sommersa dal fuoco sarà la sua testa e solamente fiamme intorno a lui vi saranno. Tutto ciò che toccherà, tutto ciò che respirerà, tutto ciò che vedrà sarà fuoco, solamente che fuoco. Egli sommerso dal fuoco sarà come un pesce sommerso dall'acqua, però, non nel suo ambiente. Tal fuoco non sarà già di dolo in esterno bensì di malore fino all'interno. Il corpo del Giuda sarà null'altro che fuoco al punto che anche gli interni il bruciore patiranno, il suo addome, il suo petto, le sue gambe, il suo cuore, il cervello, le vene e persino le ossa soffriranno l'ardore. E per quanto anche i raggi di sole in una giornata d'afa straziante sfiniscano un uomo già pieno d'arsura, all'Inferno, ciascun singolo dannato sarà ardente fornace. D'ugual modo, se in questa breve passata, che è vita, la scintilla di un cero dal superbo e dal contumace è tanto aborrita, come può non il fuoco d'Inferno al sol pensiero, sì, annientare? Eppure di ghigno e disprezzo al Divin Redentore, si veste quell'uomo con tanto clamore. Si rammenti assai, quindi, che il fuoco dell'Inferno quantunque divori i dannati non li consuma, poiché il tormento è per sempre, è infinito.
All'Inferno non v'è alcun respiro, né menzognere né veritiero, né errore né ammenda, né peccato né perdono. Il miserabile, davanti ai suoi ignobili occhi, per sempre la sua eterna condanna avrà da tenere, patendo piangendo quell'infinità di tormenti. Oltretutto, i maledetti d'Inferno non avran da soffrire solamente gli istanti dell'atroce castigo bensì l'eternità immensurabile di tutte le pene, ivi dicendo: "Ciò ch'io, infine, soffro non è la mia pena ma l'eterna durata del mio stato di pena.". Le punizioni della presente esistenza terminano, passano, finiscono; quelle infernali, invece, son lì, giammai da svanire. Per quanto tremende, travaglianti, scottanti, deleterie e struggenti, le pene infernali son brutte poiché irrevocabili, prive di fine. Si ricordi che l'Inferno è conseguenza del voluto peccato mortale, poiché in volontà di operare, pensare ed agire creati s'esiste.
"L'offesa recata all'infinita e celeste Maestà, castighi e supplizi infiniti essa, sì, avrà.". Ciò affermò saggiamente San Bernardino da Siena afferrando realmente la vita. Essa è sol che preparazione verso l'aldilà, sicché, finito il suo tempo, per rinnegare i propri peccati, l'aldilà inizierà e senza fine sarà. Ecco, indi, il fato dell'a tal punto una volta pertinace dannato, condanna eterna ed inalterabile. Nella presente vita, il peccatore, per via delle misure e dei meriti applicati dal Divin Redentore Gesù Cristo il Salvatore nostro Signore, può morire ai peccati, può pagare i suoi debiti; ma cessata la vita, venuto il giudizio, per il dannato, addio sangue asperso Divino, addio redenzione, addio salvezza, addio meriti, addio grazie, addio sagge persone, addio per sempre o mio Signore.
Nell'Esistenza Spirituale di Padre Martino Von Cochem, è narrato che, in un posseduto, il Tentatore Maligno l'Accusatore interrogato rispetto all'Inferno fu sotto esorcizzanti torture. "Per quanto all'Inferno tu resterai? Per sempre, per sempre! - con rabbia rispose - Il ciò causò tutti i quivi presenti, al Roman seminario, così tanto terrore che Confessione Generale si fece e vita di grazia al Signore si chiese; tutto al solo urlo di 2 sole parole: per sempre, per sempre.".
O Giuda Iscariota, oltre 20 secoli sono passati e le tue pene all'Inferno in cui sei neanche son cominciate. Se venisse detto ai dannati che la loro pena terminerebbe solamente alla fine di anni tanti quante le foglie di un albero, quanti i granelli di sabbia del deserto o quante le gocce d'acqua del mare, essi celebrerebbero dalla gioia ivi provata come un mendicante elevato a palagio, poiché la fine delle pene vedrebbero. È si. Passassero i secoli, moltiplicandoli alla cifra che finita all'uomo non sembra, invero, infinita, l'Inferno non sarebbe che sol cominciato. Ciascuna anima colà relegata s'accorderebbe con Dio, Lui chiedendo: "Signore beato, accrescete i miei supplizi quanto desidererete, allungandoli quanto vorrete, ma Vi prego, Vi imploro un limite ad essi, infine, mettete.". Giammai! Il limite mai vi sarà. Poiché la tromba divina al giudizio finale 2 sole parole rammenterà: il tempo è ormai giunto, di condanna o di vita, per sempre, per sempre! Per sempre, per sempre! Per sempre, per sempre!
Ai demoni, dunque, diranno i dannati: "Che ora è? A quando la fine? Quando finiranno le crisi, i lamenti, i tormenti, i supplizi, le fiamme, quando? - e la risposta sarà - Giammai, giammai! E quanto dureranno allora? Per sempre, per sempre!". Ah o Signore nostro Gesù Cristo beato, schiarisci le menti di questi dannati, che, ora, Ti implorano, a Te ancor così ingrati; persuadi coloro che al monito dell'eterna condanna superbi rispondono: "Se Inferno sarà, beh pazienza!". Oh Signore! Essi nemmeno la pazienza nel freddo e nel caldo sorreggono eppure di vivere nel fuoco, sì, eterno, contornati da diavoli, demoni, lercio, tortura e paura assente Te o Grande, s'illudono.
Sull'aspetto demoniaco
Oltre al ciò già esposto, la terribile apparenza degli spiriti demoniaci renderà la morte ancor più allarmante. È l'opinione di parecchi Padri che chiunque spiri veda il terribile nemico, il Maligno. Tale visione deve essere ripudiante assai ed il terrore parimenti indescrivibile per il morente.
Fu riportato che a Fratello Egidio, durante una preghiera nella sua cella, apparve il Diavolo in modo così spaventoso che il fratello perse addirittura la facoltà, per così dire, della parola, pensando che fosse ormai giunta la sua ultima ora. Giacché impossibilitato dal pronunciar parola, egli alzò le braccia supplicando Dio con umiltà e l'orrenda apparizione al che scomparve. Dopodiché, s'affrettò a narrare tutto questo ai suoi fratelli monaci, ciascuno di essi tremò dalla testa ai piedi allorquando udì la raccapricciante descrizione dell'avversario del genere umano.
Invece, virando verso San Francesco, vi fu il seguente dialogo fra il santo ed un fedele. "Padre, avete mai visto in questo mondo un qualcosa di così terribile al punto di voler uccidere qualcuno?". Il santo rispose: "L'ho davvero vista una tale cosa, null'altro che il Demonio, così vile che nessuno potrebbe contemplarlo anche per un instante e sopravvivere, a meno che Dio non abbia esplicitamente concesso l'opposto.".
San Cirillo scrisse a Sant'Agostino di modo da informalo rispetto al fatto che uno dei 3 uomini che risuscitarono affermò: "Allorché ero morto una moltitudine di demoni, innumerevoli, si è congelata di fronte a me; le forme d'essi erano più orribili di qualunque remoto concepimento possibile della fantasia umana. Si preferirebbe bruciar sul rogo piuttosto che essere soggetti a tale vigilanza. Questi demoni, riunitisi intorno a me, mi hanno rimproverato, inoltre, tutte le mie colpe ed i miei errori, spingendo il mio pensiero alla disperazione, costringendomi ad obliare tutto e, se Dio non mi avesse salvato, ad averli davanti all'infinito.".
Sant'Antonio, similmente, narrò che uno dei fratelli del suo ordine urlò avanti l'apparizione di un demone. Nel dettaglio, i suoi compagni monaci, correndo allarmati verso di lui, lo trovano più morto che vivo. Dopo avergli somministrato un qualcosa per rinvigorire, gli domandarono quale fosse stato il problema. Egli rispose loro che il Diavolo gli era apparso, terrorizzandolo al punto tale che la vita lo aveva lasciato. Alla richiesta di delinearlo egli rispose: "Ciò non posso dire, posso solamente dichiarare che se mi fosse stata data una scelta avrei preferito essere gettato in una fornace piuttosto che mirare il Diavolo.".
Si apprende la medesima cosa studiando la vita di Santa Caterina da Siena. Ella disse che avrebbe preferito camminare sopra un sentiero rovente piuttosto che contemplare anche per un sol istante quel demone. Pertanto, se la vista del male in persona è così disgustosamente intollerabile, spingendo anche i santi a desiderare la sofferenza ardente, quale sarà l'orrore provato dai dannati una volta ridotti per sempre ai piedi degli indicibili demoni? Che terribile disgrazia sarebbe quella per cui una bestia rabbiosa aggredisse con una propulsione tale da sbattere a terra e strappare la gola? Non si pensi che il demone non attacchi i dannati con meno furore, o che li tratti con più misericordia, essa ivi non v'è.
Nella leggenda di Sant'Antonio Eremita si racconta che i demoni apparvero lui in pluri-modi, menandolo a temerli in modi indicibili. A volte presero la forma di bestie feroci, di leoni; d'orsi e di cani selvatici. Altre, apparvero sotto forma umana, come uomini feroci; belle donne ed orribili mostri. Talvolta lo picchiarono, abusando di lui così tanto sin da lasciarlo mezzo morto. Talvolta, invece, lo disturbarono apparendo come spettri, generando in lui un terrore talmente grande che, se Dio ed il suo Angelo Custode non fossero giunti in suo soccorso, sarebbe, sì, caduto. Ebbene, dunque, se ciò fu fatto ad un uomo di vita e di condotta santa, contro la quale essi detenevano nessun potere malvagio, cosa potrà accadere all'Inferno dove i peccatori saranno allora completamente ed ormai definitivamente senza le grazie del Signore Dio?
Davvero nessuno è in grado di immaginare e concepire quali terrori e tormenti orchestreranno tali spiriti all'Inferno, molestanti i dannati con malizia demoniaca, appresso il giorno del giudizio. Parecchi si rincuorano dicendo: "Comunque sia, si starà con i propri conoscenti lì all'Inferno, non ci sentiremo soli.". Oh che letale illusione è tale spuria e falsa convinzione! Ciascuna anima perduta all'Inferno preferirebbe rimaner da sola qualora le fosse data tale opzione. Ovvero, siccome sulla Terra è oltre il terribile convivere con un individuo recante qualcuno del male alcuno, peggio ancora convivere con un nemico, anch'ivi esser circondati da migliaia di persone odianti, odiate ed odiose sarà molto odioso. Infatti, eziandio i padri e le madri, eziandio i fratelli e le sorelle, eziandio le mogli ed i mariti, eziandio i figli e figlie, eziandio gli amici ed i più cari diverranno al che nemici dichiarati. Perché? Perché, invece, che mostrare un po' di vicendevole gratitudine per i buoni consigli l'un l'altro annunciati, si vorrà tutti quanti recar male reciproco per il rammarico di non aver ricevuto sufficiente ammonizione.
Comunque sia, San Giovanni Crisostomo dichiarò: "Vi son non pochi uomini schiariti al punto tale di persuadersi che i loro sforzi dovrebbero bastare per evitarli le pene dell'inferno. Quanto a me, v'è un supplizio che stimo molto più duro di tutti i tormenti della Geenna, parlo della privazione definitiva della gloria celeste.". Il Maligno medesimo è costretto ad ammetter tutto ciò, come si legge nelle leggende del Venerabile Giordano, un tempo generale dell'ordine Domenicano. Allorché Giordano, dunque, chiese a Satana, possedente una persona, ciò che il tormento principale dell'Inferno fosse mai, quegli rispose: "La mancanza eterna del Signore Dio.". "È ciò, quindi - che Dio è così bello da mirare?" riprese Giordano; dopo che il Diavolo annuì, Giordano domandò di nuovo: "Quanto è grande la Sua bellezza?". "Sei insano nel tuo cuore per rivolgermi una simile domanda?! Non lo sai che la Sua bellezza è ineffabile, sicché, incomparabile?!"; Giordano continuò, comunque: "Dammi un'idea della grandezza della bellezza Divina"; Satana rispose: "Immagina una sfera di cristallo mille volte più luminosa del sole avente: la bellezza di tutti i colori dell'arcobaleno; la fragranza d'ogni fiore; la dolcezza d'ogni frutto; il costo d'ogni pietra più preziosa; la bontà dell'uomo e l'attrattiva di ogni angelo del Cielo. Orbene, per quanto tale cristallo possa essere puro, giusto e prezioso, rispetto alla bellezza divina esso risulterebbe lurido, fetido e, sì, sporco.". Il buon monaco soggiunse: "Cosa daresti adunque tu pur di vedere Dio?" il Demonio terminò: "Semmai vi fosse un pilastro collegante la Terra al Cielo, ricoperto di chiodi appuntiti e di ganci taglienti, sarei ben felice di esser strusciato su e giù per esso, in tutta la sua lunghezza, d'oggi innanzi sino al giorno del giudizio per mirare e contemplare la Divina Immagine anche per un solo instante.".
Orbene, si sa davvero cos'è l'eternità? Qual'è la sua effettiva direzione? L'eternità, invero, è quel qualcosa che ha né inizio né fine, né debutto né termine, che non ha limite. Essa è il tempo sempre presente e mai accadente. Sicché, i tormenti dei dannati finiranno mai; essi, passeranno mai. Trascorsi 1000 anni, ne dovranno passare altri 1000 e dopo altri 1000 ancora e ciò sarebbe nulla ancora e così via, per sempre! Nessuno dei dannati potrà mai immaginare quanto rimarrà all'Inferno, poiché ivi vi rimarrà per sempre! Colà non v'è successione tra giorni e tra notti, il tempo è mai diviso. In effetti, v'è sol che una sola notte, infinita ed eterna, cominciante l'istante in cui si sarà quivi entrati e terminante mai; durante quanto? Sempre. I dannati sarebbero contenti, gai, giocondi assai e loderebbero il Signore Dio all'infinito se potessero anche attendere milioni e milioni di anni di tormento e di tortura pur di esser ad un certo punto liberati dalle loro terribili miserie. Tuttavia, non v'è speranza per tale eventualità, non v'è speranza per l'attenuazione dell'Inferno. Alcuni potrebbero presumere che i dannati si possano abituare ai loro supplizi e che nel tempo essi diventino impercettibili se non indifferenti, giammai! Niente! Così non è e mai sarà! I dannati sono e saranno per sempre condannati ad udire e subire le loro torture alla loro massima intensità. Ciascuna anima oggi all'Inferno è proprio in tale stato, soffrente i medesimi supplizi che iniziò a subire dal primo istante in cui quivi fu spedita, in attesa del suo corpo, continuante a sentirsi in tale modo anche dopo migliaia e migliaia di anni, mai giungendo ad una fine.
Oh anime all'Inferno, vittime d'indescrivibile dolore, guardatevi attorno in cerca di soccorso e di fuga, troverete mai qualche conforto? Ahivoi giammai. Non una sola cosa vi renderà felici, poiché ovunque voi guardiate dai demoni siete circondante. Non v'è compassione dove voi, ora, siete. Alzate gli occhi al Cielo mirandolo così bello, così affascinate, così delizioso, pieno di così tanta gloria, al che rammentando il vostro fine di creazione, ricevere quelle benedizioni, ma, ora, nel mezzo dei più atroci dei dolori, voi anelate per quel desiderio tanto inesprimibile quanto inarrivabile. Quale immane sforzo occorrerebbe voi per ivi giungere? Nessuno, poiché quel vostro tormento sarà colà con voi per sempre. Nessuno appare prestare voi attenzione in Cielo e, dunque, eccovi lì a mirare il trono che il Signore nella sua bontà vi aveva preparato, ormai occupato da qualcun altro. Non v'è più spazio per voi in Cielo. Quivi osservate taluni vostri parenti, compagni, conoscenti, ma nessuno d'essi desta voi attenzione. Voi, infatti, realizzate che tutti gli eletti in Cielo godono d'ineffabilissime soddisfazioni mentre voi, invano, vi esaurite ad appellare i santi, la Madonna ed il Redentore, ahivoi, sì, invano. Attratte da Dio vi, sì, sentite, da una forza irresistibile, in tale istante comprendendo come solamente Desso potrebbe attenuare la vostra sete di gioia e gaudio rendendovi felici. Aspirate e bramate tale meta, cercandoLo ripetutamente, però, respinte da un'indescrivibile repellenza voi in ultimo vi percepite, poiché dinnanzi alla divina ira, poiché dinnanzi all'anatema. Voi coscienti della mancanza di speranza, quindi, siete, coscienti che accettate nella vita beata e benedetta mai sarete, coscienti che tale luogo di miseria lo lascerete giammai più.
Ciò che tormenterà di più i dannati sarà, comunque, la loro stessa dannazione. Anche, ora, in questo istante, la propria vita passata appare come non altro che un qualcosa che eziandio non fu, meri istanti, sogni sbiaditi, oblio. Come apparirebbero, sicché, 60-70 anni di memorie e di ricordi giù all'Inferno? Quando nella profondità dell'eternità, dopo un secolo od anche un millennio, la loro infinità è sol che incominciata. Anzi, macché 70 anni! Possono forse 70 anni di vita essere mai spesi integralmente nel piacere? Il peccatore vivente senza Dio, gode in ogni istante della vita a fronte del peccato? Quanto durano in effetti i piaceri del peccato? Nemmeno pochi istanti, così poco durano. Il resto del tempo concesso all'uomo peccatore è, dunque, speso in incessante dolore ed amarezza. Sicché, come mai potranno tali effimeri istanti di piacere apparire all'anima perduta nelle fiamme dell'Inferno? Come potrà, poi, delinearsi l'ultimo peccato causante la sua definitiva dannazione? Oh come, dunque, esclamerà: "Per un miserabile piacere durante sol che un attimo, scomparente come il vapore nell'aria, dipartito appena assaporato, per tale nullità, io continuerò a bruciare all'infinito in questo fuoco eterno, disperata come sono e per sempre da tutti abbandonata. Ahimè, sì, per sempre, finché Dio sarà Dio, sì, per l'eternità!".
San Tommaso Aquino disse: "La pena principale dei dannati è il vedere che essi si son perduti per niente e che avrebbero potuto facilmente assai, con buona volontà, meritar la celeste gloria eterna.". Tale forma di rimorso consisterà, pertanto, nel pensare a quanto poco si sarebbe potuto fare per salvarsi. A Sant'Umberto apparve una volta un dannato dicendogli che, fra tutti i tormenti che lo affliggevano all'Inferno, il peggiore era quello di riflettere sul fatto che egli si era perduto per veramente poco e che avrebbe potuto recuperare con minimo sforzo per salvarsi. Allora, dunque, dirà il maledetto: "Se avessi impedito ai miei occhi di fissare quell'oggetto; se, in tale circostanza, avessi vinto il rispetto umano; se avessi fuggito quell'occasione, quell'amicizia, quella conversazione, non sarei, ora, perduto; se avessi avuto cura di confessarmi ogni settimana, di fare le mie letture Cattoliche spirituali, di raccomandarmi alla Madonna ed a Gesù Cristo, sarei mai più ricaduto nei miei peccati. Ciononostante, io ho spesso preso buone risoluzioni, ahimè, però, operando nulla a riguardo. Anzi, dopo aver messo mano all'opera non ho perseverato ed è così che io mi son perduto.".
L'Angelico dottore, infine, dichiarò che il "verme che rode ma non muore" altro non è che il rimorso di coscienza.
Sull'eterna tortura
In diverse maniere truciderà la coscienza il cuor dei dannati. Il pensiero peggiore e, sì, più affliggente non avrà da concernere il fuoco, il terrore od i supplizi infernali, bensì quel rimorso così intollerabile: "Eternamente felice esser potuto sarei; invece, eccomi qui, condannato e dannato, per sempre, per sempre.".
Chissà? La presente considerazione potrebbe forse essere l'ultimo appello, sì, rivolto da Cristo Gesù nostro Signore; l'ultima chiamata ch'Egli offra; chissà? Forse, non si cambi d'ora innanzi condotta, al prossimo peccato mortale il Signore Cristo nostro Gesù per sempre dipartirà - e forse, proprio per tale peccato, s'avrà da patire l'Inferno in eterno assieme a tutti quei folli che nei loro peccati avran voluto indulgere. Allorché il Demonio tornerà a recare discordia per via tentatrice, si pensi all'Inferno ed alla sua infinità e si ricorra al Signore ed alla Sua Santissima Vergine madre, sì, già!
Sul pensiero Infernale
San Bernardino da Siena disse: "Il più grande di tutti i consigli è il consiglio di fuggire le occasioni del peccato. Fra tutti i consigli del Cristo, il più celebre, quasi ad essere il fondamento della Fede stessa, è quello d'evitare le occasioni del peccato. Il Diavolo una volta confessò, obbligato a farlo durante un esorcismo, che di tutte le prediche e sermoni, la paternale più da lui temuta è quella discutente il fuggir dalle occasioni del peccato - e con ragione! Sicché, il Demonio permarrà, comunque, nel peccatore penitente, malgrado la sua che sia promessa o risoluzione, non fuggente le occasioni del peccato.".
Nostro Signore Gesù Cristo avvertì svariate volte rispetto al dovere rimanere in guardia contro i demoni e gli uomini: "Guardatevi dagli uomini. (Matteo 10:17)". Gli uomini sono talvolta peggio dei demoni, poiché i demoni prendono la fuga dinnanzi alle preghiere, alle orazioni ed alle invocazioni dei Santissimi nomi di Gesù e Maria, ben conoscendone la severità; gli uomini, invece, sfrontati ed illusi, no. Dunque, laddove le malvagie frequentazioni spingano certuno a peccare, e quegli tenti la difesa attraverso la parola spirituale verso i primi, dinnanzi ai secondi, agli uomini cattivi, ciò non funzionerebbe, essi non desisterebbero, anzi si spingerebbero oltre! Essi comincerebbero a deriderlo, a dargli del folle, dell'ignorante, dell'arretrato, del buono a nulla insomma, ed allorquando privi d'ulteriore denigrazione, concluderebbero accusandolo di occuparsi sol che di ipocriti e di falsa santità. Purtroppo, di modo da evitare l'esposizione a tali tormenti, svariate anime deboli comprometterebbero la Fede associandosi persino con gioia a tali ministri di Lucifero, indi ritornando al loro vomito.
Sicché, coraggio e carica! Fare di tutto, sacrificare di tutto, osare tutto di modo da guadagnare il gaudio del Ciel celeste! Poiché non s'ivi arriverà se fievoli con Cristo. Ciò che occorre fare per giungere al celeste Cielo dev'esser superiore a tutto ciò che le persone fanno e possano fare per le ricompense mondane, salariali, di podere, di potere, di piacere e fama. Solamente così si sarà certi di essersi meritati un elevato posto tra i santi in Paradiso. Ed invero, per in ciò riuscire occorre null'altro che il mantenimento dei Comandamenti del Signore Dio e della Sua Chiesa Cattolica, frattanto portando le proprie piccole croci. Infatti, il Paradiso merita ogni sofferenza, ogni sacrificio, ogni lotta, ogni battaglia, ogni tortura, ogni dolore, ogni guerra peggio ancora ed enne volte peggio. La vita è breve, le sue prove, le sue difficoltà, il suo travaglio, le sue tribolazioni, tali croci son sol che un breve passaggio. Il Paradiso ed i suoi gaudi, invece, sono inconcepibili, soddisfacendo ogni desiderio del cuore, finendo veramente mai. Dunque, si preghi sempre nel proprio cuore quanto segue: o Signore Gesù misericordioso, io vi imploro per conto di codesta vostra morte amara e passionale e del giudizio universale, ove Voi sarete il Giudice del mondo Intero. Donate me la grazia acciocché io quel dì risorga con la gioia e non… con la vergogna! Amen.